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I sintomi alimentari cercano DISPERATAMENTE di comunicare

by ChiaraSole

I sintomi alimentari cercano DISPERATAMENTE di comunicare

“odio la mia vita, mi faccio schifo, non ne posso più, non ce la faccio, non vado bene in niente, tutti sono migliori di me, tutti sono più magri di me, il mio corpo è grasso e deforme, non so cosa fare, non merito niente, tanto lo so che non c’è niente da fare per me, sto male da morire, tanto lo so che non si può guarire, gli altri forse ma io no, Nessuno mi capisce. Beh tanto non sono così malata forse è solo frutto della mia immaginazione. Ma come si fa come si fa come si fa come si fa?!?!?!”

In quanti si riconoscono in queste frasi così dolorose?!?!

Frasi che ho detto e ho sentito dire miliardi di volte. Ognuna racchiude in se un mondo di sofferenza e anche tanta paura.
Paura di essere qualcosa e paura di non essere nulla. Paura di mettersi in gioco e terrore di avere un aiuto vero e concreto.

Paura che porta a vergognarsi di se stessi per quello che si è e che si ha.

Paura di aprirsi profondamente.

Paura di tentare e tentare l’ennesimo percorso di cura.

Paura di conoscersi davvero e anche paura di capire se stessi e ciò che ci ha portato a stare tanto male.

Paura del giudizio degli altri che a ben vedere forse è proprio il nostro su noi stessi. Nei disturbi alimentari il corpo diventa il naturale contenitore di queste paure e dell’infinita sofferenza che si prova: che è il risultato di un mondo sommerso che spesso non ha un nome, non lo si vede e non lo si riconosce a causa dell’anestesia dei sintomi.

Da fuori capire quanto si soffre, quando sono presenti patologie come anoressia, bulimia e binge eatingdirei che è praticamente impossibile.

Per quanto mi riguarda quando ero malata neanche io capivo cosa avessi in realtà, cosa fosse la mia malattia. Ero talmente concentrata sul mio allora maledetto corpo e sul cibo ora da restringere, ora da divorare, da vomitare da amare e odiare, convinta che i miei problemi fossero quelli e cioè il mio corpo e fare di tutto per cambiarlo, per ridurlo, plasmarlo. Dicevo frasi del tipo ” quando sarò magra starò bene, quando sarò magra potrò fare questo questo e questo”…  e continuavo a rimandare la mia vita ipotecando un domani che non arrivava mai.

Ma non era affatto così, se ci pensiamo ognuno di noi ha avuto determinati pesi corporei eppure la tanto aspirata serenità non arrivava mai davvero, l’idea/L’ILLUSIONE di controllo prende il sopravvento e ogni forma di emozione era filtrata da questa.

La verità è che si comprende realmente il significato della nostra malattia quando si procede in un difficile è meraviglioso viaggio: e cioè la conoscenza e la scoperta di se stessi, comprendere cosa ci fa male e cosa ci fa bene e nel contempo cosa ci ha fatto male nella nostra storia di vita. Un viaggio che ti porta a capire e a rielaborare che cosa ti ha portato inconsciamente a rifugiarti in una malattia così subdola che non fa altro che raccontarti bugie e che sposta ogni tipo di problema su cibo e corpo.
Ma questi due preziosi elementi della patologia hanno un immenso valore emotivo e non c’è nulla di razionale nelle sensazioni che si provano. Quel valore emotivo va capito e accolto nella sua essenza e nelnostro storico spesso traumatico. I tranelli della malattia sono sempre dietro l’angolo: un momento si pensa una cosa e un momento dopo l’esatto opposto.
Capire cosa realmente ci ha fatto soffrire e continua a farci soffrire, necessita di un serrato percorso di cura specializzato in disturbi alimentari, perché attraverso i sintomi cerchiamo disperatamente di comunicare delle cose, che spesso neanche noi sappiamo.
Con il silenzio gridiamo dolore. Con la rabbia e i conflitti la paura e una costante ricerca di conferme. Con lo sminuirsi sempre una costante negazione di sé.
Essendo una lingua vera e propria è molto importante affidarsi a figure specializzate che possono aiutarci a tradurre quel linguaggio così apparentemente incomprensibile, ma in realtà pieno di significato. Ogni sintomatologia ha un suo perché per esistere e descrive delle necessità personali.
Quando si sta tanto male si pensa essere impossibile guarire oppure si pensa che in fondo non si guarisce mai del tutto.
Lo pensavo anch’io, ovviamente.
Ma non è vero!!!!!!

Nelle preziose mail che ricevo o nei post privati, diverse persone mi confidano che non vogliono oppure hanno paura di chiedere un aiuto che comporti un percorso di cura. Oppure che è sufficiente come referente una persona che si occupi di nutrizione.
Involontariamente siamo portati a sminuire la nostra malattia e la potenza della stessa, anche perché esisteun costante da domani da domani da domani da domani.
E io dico che oggi è il domani di ieri e quindi, con disumana fatica, è ora di intraprendere quella strada che porta a capire, a conoscere, a darsi la spiegazione di tanti anni di sofferenza sintomatica, ma questo non può venire facendo tutto da soli perché rimaniamo sempre gli unici giudici severi di noi stessi, sono necessarie figure esterne specializzate fuori da noi che ci aiutino a comprendere bene la nostra malattia perché non è fatta “solo” di sintomi potenzialmente mortali e che nel tempo possono portare a danni/rischi fisici molto importanti, ma anche di un infinita di sfaccettature.
Questo male massacra ogni sfera della vita da quella relazionale, a quella affettiva, familiare, lavorativa, scolastica nulla è fuori da questa malattia e non c’è una divisione fra malattia e carattere tutto è drammaticamente mischiato.
Negli anni i sintomi alimentari sedano oltre che le emozioni anche il naturale processo di crescita e quindi spesso da una parte ci si sente estremamente adulti nei ragionamenti ma, dall’altra si ha come la sensazione di avere dei bisogni di un bimbo.
Ed è importante prendersi cura di quella parte così tenera di noi stessi, essendo aiutati, accompagnarla a quello che io definisco un percorso di cura e crescita.
Imparare a prendersi cura di se stessi e a capire che cosa ci ha fatto male e ci fa male comporta un grande lavoro su di noi, un lavoro introspettivo che se da una parte risulta essere doloroso, dall’altra comporta infinite soddisfazioni che sono alla base dell’autostima.

Spesso si avverte l’anoressia, la bulimia o il binge eating come fossero la nostra identità ed è anche per questo che si ha tanta paura di cambiare.
Ho memoria, o meglio, sprazzi di memoria, di quando mi dicevo se non sono bulimica allora che cosa sono?!?!
E da qui parte il grande viaggio e cioè la scoperta di chi realmente si è e perché quel rifugio sintomatico è stato così necessario nella vita di ognuno di noi.
Ti esorto a non pensare che sia impossibile e nel contempo ti esorto a fare di tutto per riappropriarti della tua vita iniziando a scrivere un NUOVO libro bianco nel quale ogni pagina ha bisogno di inchiostro inedito e lo si può trovare solo ed esclusivamente attraverso una cura specializzata e non da soli.
Pensare di potercela fare da soli significa non dare il giusto valore alla propria sofferenza e a questo male terribile.
Quel dolore non è inventato, tu sai che c’è e non importa cosa dicono le persone intorno, importa solo ciò che tu senti dentro di te e importa il fatto di metterci tutto l’impegno possibile per far pace con la drammatica sofferenza che si prova da tanto tempo probabilmente da più tempo di quanto non lo si immagini, da quando ancora i sintomi alimentari non erano evidenti perché, come ogni malattia, ha un suo tempo di incubazione.

Sono davvero tante le sfaccettature di queste patologie e le si comprendono proprio durante il proprio percorso di cura.
I disturbi alimentari sono spesso accompagnati da altri sintomi come ad esempio la dipendenza affettiva (una fame infinita di risarcimento e di conferme), l’assunzione di alcool o altre sostanze che proprio come le sintomatologie riguardanti l’alimentazione ci portano lontani da noi. Lo sport che, se in origine è qualcosa di sano, diventa qualcosa di assolutamente autodistruttivo e malato… un ulteriore spostamento che quando non viene praticato anchesso provoca un infinito senso di colpa. Ognuno ha la sua storia e le sue cause e ognuno ha le proprie sintomatologie che non sono casuali ma direttamente proporzionale al proprio traumatico vissuto.
Si soffre tanto e non sono certo io a dovertelo dire perché lo sai molto bene . Riflettiamo insieme alla luce di questa grande sofferenza: da una parte esiste il dolore dei sintomi alimentari che dopo un primo momento di grande godimento comportano un lacerante senso di colpa che è funzionale ad anestetizzare emozioni ricordi eccetera: un dolore in fondo fine a se stesso che non costruisce nulla ma che ti allontana sempre di più dalla realtà. Mentre dall’altra parte un percorso introspettivo che porta indubbiamente anche a soffrire ma questa volta non si tratta di un dolore sterile, bensì di un male che fa bene e che porta a stare bene…. e finalmente a spezzare quelle rigide catene che ci hanno imprigionato per tanto tempo.

Insomma…. dolore per dolore non è meglio scegliere quello più costruttivo????
Io spero tanto che la tua risposta sarà sì.
Per qualunque cosa io ci sono!

ChiaraSole Ciavatta

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