La mia malattia: da omologazione simbiotica, al binge eating e bulimia come urlo di ribellione:
“Perché ognuno di noi ha la sua piccola storia, una storia che forse non lascerà un segno, non riempirà le pagine di un libro, non verrà insegnata a scuola. Eppure ogni volta che nascerà l’occasione o la voglia, continuerà a raccontarla a sé stesso e agli altri come la sua personale grande storia.” Ines
Mi chiamo Ines, da oltre 8 anni non soffro più di sintomi alimentari.
La mia storia ha inizia il 19 agosto 1991 nella splendida cornice di Maratea (PZ).
Fin dai primi anni di vita ho dimostrato una grande resistenza nel crescere e nell’essere indipendente, dallo staccarmi da mia madre come se inconsciamente sentissi il suo bisogno di avermi tutta sua e di conseguenza ho impiegato tempi più lunghi nell’imparare a: mangiare da sola, camminare e a parlare; difatti utilizzavo un linguaggio tutto mio.
Ho indossato il pannolino di notte fino ai 4/5 anni e nel primo anno di scuola dell’infanzia capitavano spesso episodi di enuresi. Già in quegli anni per fuggire dalla realtà in cui vivevo mi creai un mondo parallelo in cui giocavo con la mia amica immaginaria Giulia, che mia mamma involontariamente distrusse un pomeriggio mostrandomi una bimba che realmente si chiamava “Giulia”. Da quell’istante l’ho salutata per sempre.
Nell’estate del 1993 nacque mio fratello da cui mi sono sentita togliere tutto quello che mi apparteneva sia dal punto di vista materiale (culla, passeggino, ecc..) e affettivo. All’improvviso ho sentito che dovevo crescere e non lo capivo anche perché non mi era stato spiegato. Nella spinta a crescere mi sono omologata a mia nonna paterna, a cui mio padre era molto legato. Da quando sono nata al giorno in cui è morta è stato un continuo entrare ed uscire dall’ospedale. Così nella mia mente si è creata l’idea che l’unico modo per essere visti e avere le persone al proprio fianco fosse la sofferenza.
Avevo solo 3 o 4 anni e iniziai a scendere le scale nel suo stesso modo e a volere mangiare i suoi cibi ipoproteici e iposodici. Ho vissuto gli anni della mia infanzia non solo tra sofferenza fisica (malattia di mia nonna paterna, la mia bisnonna e mio papà) ma anche e soprattutto tra sofferenza coniugale (liti dei miei ) che hanno fatto maturare dentro di me l’idea di dovere dare meno problemi possibili che anzi avrei dovuto risolverli così sono diventata una bambina-adulta com’erano state a loro volta le mie nonne e mia mamma anche se io avevo giocattoli, andavo a scuola, in piscina d’estate ecc.…..
Ricordo benissimo la prima volta che ho pulito casa avevo 9 anni e da lì tutte le estati le trascorsi a sbrigare le pulizie domestiche e nel 2004 a sostituire mia mamma nel suo negozio mentre lei e mio papà facevano avanti e indietro da Napoli dove mia nonna dopo un lungo ricovero d’improvviso morì il 18 ottobre dello stesso anno.
Dal 2001 tutta questa sofferenza interiore e violenza emotiva degli anni della mia infanzia si sono tradotti nel vivere un rapporto sempre più conflittuale con me stessa e con il cibo. D’altronde il cibo era il linguaggio con cui si comunicava a casa.
Il lavoro di mia mamma era legato al cibo (aveva un negozio di generi alimentari), le attenzioni, il dire volersi bene passava anche dalla cura, dalla preparazione e dalla consumazione dei pasti. Quest’ultima per motivi di lavoro e scuola ci vedeva uniti tutti e quattro soltanto all’ora di cena dove spesso le liti tra i miei per motivi di lavoro, per motivi inerenti alla nostra educazione ma a volte anche senza un perché oggettivo non mancavano.
Anche a scuola l’ambiente non era sereno, tra la prima e la seconda classe della primaria venivo derubata della merenda e cancelleria varia. Negli anni a seguire venivo isolata e presa in giro per il lavoro dei miei genitori e perché mia mamma guidava l’automobile. Assurdo che tra la fine degli anni 90 e gli inizi del 2000 una bambina potesse vivere tutto ciò a scuola e anche fuori ma siamo in un piccolo paese della Calabria dove le donne in poche lavoravano e soprattutto guidavano.
Per proteggermi da tutto ciò trascorrevo la maggior parte dei pomeriggi a casa da sola davanti alla televisione, o andavo a casa dei miei nonni, nel negozio di mia mamma, qualche volta a casa di qualche mia compagna di classe o dalle mie cugine che in quegli anni ho sempre percepito in base ai discorsi che sentivo in famiglia che fossero meglio di me e di mio fratello.
Nel 2002 l’arrivo del ciclo, la trasformazione del mio corpo, il passaggio dalla scuola primaria alla scuola secondaria di primo grado mi fanno chiudere ancora di più in me, rafforzano il mio senso di inadeguatezza, il non riconoscermi e concentrarmi ancora di più sul mio corpo. Ricordo una manifestazione d’arte in cui mi pesai più volte per vedere se in un giorno avessi perso uno o più chili. Vedere l’ago sulla bilancia scendere era una pura illusione che mi faceva credere di poter sentire meno quello che mi succedeva intorno, emozioni belle o brutte.
Mi volevo proteggere quasi scomparire da una realtà che era troppo opprimente, lacerante e piena di confusione di ruoli dove invece di fare la figlia mi sono sentita in dovere di essere madre e padre di mio fratello, e dei miei stessi genitori.
Il tutto peggiorò dopo la morte di mia nonna paterna, da cui mi sentii abbandonata e ho impiegato diversi anni per accettare la sua scomparsa. Da lì a pochi mesi entrai nel mondo del binge eating (abbuffate senza vomito) fino al gennaio del 2009.
Il binge in quegli anni mi servì per omologarmi fisicamente a mia mamma che è sempre stata in sovrappeso, sentirmi uguale a lei e proteggermi dai ragazzi perché nella mia mente fino a quando non ho intrapreso il mio percorso a MondoSole governava l’idea che un ragazzo non desidera una ragazza robusta.
Le abbuffate di cui nemmeno mi rendevo conto quando succedevano, aumentarono a fine terza media, a Maggio in poche settimane in cui rimasi a casa per la varicella misi più di 5 kg.
Ricordo che non mi riconoscevo avevo il volto segnato e non mi andava più nulla degli abiti che avevo indossato fino a qualche settimana prima.
A Settembre iniziai il liceo furono anni pieni di sofferenza e solitudine in cui il sintomo divenne ancora più feroce quando a mio nonno Giovanni fu diagnosticato un tumore al cervello che diede una risposta al suo cambiamento umorale e personale perché quel male si era impadronito di lui in tutto e per tutto.
Seguirono mesi in cui di giorno dopo scuola per poche ore vivevo con i miei a casa di mio nonno dove loro si erano trasferiti per accudirlo e di notte a casa dei miei nonni materni. Ricordo che ero stanca, arrabbiata e sola davanti alla sua e alla mia sofferenza che quando rimanevo da sola con lui che si spegneva sempre di più mi abbuffavo.
Quando morì eravamo solo io e lui, io svolgevo i compiti di matematica e non mi accorsi di nulla non nego che provai un senso di sollievo per me ma soprattutto per lui. Tutti gli anni del liceo trascorsero in questo modo d’inverno andavo a scuola dove mi vergognavo, mi coprivo tutta e avevo paura di tutto in primis di me stessa.
A ricreazione non uscivo mai dalla classe, studiavo ma lo studio era una valvola di sfogo ed era la metafora della mia malattia così come divoravo il cibo così divoravo i libri ogni singolo argomento lo studiavo a memoria in tutte le sue parti e tutto rimaneva dentro di me facevo difficoltà nell’esporlo e i voti erano come l’ago della bilancia, il mio valore dipendeva da loro e non erano mai abbastanza.
Per alleggerire un po’ il tutto e per non vivere realmente una relazione d’amore vera di cui ero traumatizzata anche solo all’idea, per tutti quei 5 anni mi invaghii di un mio compagno di classe G. a cui mi rivelai soltanto a fine liceo.
Nel 2009, l’anno dei miei 18 anni, iniziai una dieta fai da me che pian piano divenne un digiuno che mi condusse alla bulimia.
Era il pomeriggio dell’11 marzo 2010 non lo dimenticherò mai: ero rientrata da un concorso letterario a Firenze in cui mi ubriacai per la prima e unica volta della mia vita perché “rivissi” un dolore che già conoscevo e che in tutti quegli anni avevo cercato di allontanare in tutti i modi e così dopo aver mangiato (una fresa con del formaggio) che era al di fuori del mio schema mentale alimentare vomitai e da lì non ho più smesso fino a quando non sono arrivata a MondoSole.
Del 5^ anno del liceo ricordo un vuoto lacerante, un freddo dentro e fuori, mi allontanavo sempre di più dalla realtà e non so nemmeno come ho fatto a svolgere in maniera quasi eccellente l’esame di maturità. Di giorno quando i miei non c’erano tra un’abbuffata e una vomitata cercavo di studiare, ma anche la notte la situazione non era diversa anzi per non farmi sentire e scoprire nascondevo il vomito sotto il letto, dentro i comodini perfino su una copia della mia tesina c’è una traccia di vomito.
L’estate finisce e mi iscrivo all’università di lettere indirizzo “beni culturali” di Trento convinta che andando così lontana avrei potuto cambiare la mia vita lasciandomi il passato alle spalle.
Mi sbagliavo stavo soltanto scappando. In quei mesi svolgo una vita apparentemente tranquilla il sintomo secondo i miei canoni malati non era ancora del tutto invalidante solo perché la restrizione predominava sulle abbuffate e il vomito.
Per cui “vivevo” in maniera “normale” andavo all’università, non studiavo i libri: li mangiavo, conseguii due e più esami iniziavo a crearmi una vita sociale tutto questo fino a Natale.
Al rientro tra una fame fisica ed emotiva, la paura del passato verso una vita che volevo e che piano piano stavo iniziando a costruirmi mi portano a sabotare il tutto. Il sintomo diventa invalidante, giorno e notte non fa la differenza, penso solo a mangiare non riesco nemmeno più a vomitare il mio corpo era come una palla di ping pong saltava da un peso ad un altro.
Così una mattina disperata al PC scrivo sul canale “YouTube” la parola anoressia e bulimia e mi appare un’intervista di ChiaraSole che ricordavo aver visto quando ero bambina con mia mamma. In quelle parole finalmente sentivo comprensione e così contattai via e-mail lei e la segreteria di MondoSole e fissai un colloquio.
Nel frattempo nell’interscambio di e-mail Chiara mi invitò a dire la verità ai miei genitori, perché loro non si erano mai accorti di nulla anzi ad oggi so che sapevano che qualcosa non andava bene ma si auto-proteggevano ignorando la realtà dei fatti che implicava accettare che la loro figlia fosse malata.
Ma vedere ed accettare la realtà vera e amara come spesso accade è una modalità che i miei per molti anni e per vicende diverse hanno sempre preferito non fare ma questa volta c’era di mezzo la mia vita. Così scrissi loro un’e-mail in cui raccontavo tutta la mia sofferenza e che si concludeva con questa frase “voglio realizzarmi e per farlo so che devo guarire perché non si può vivere dimenticando il passato perché esso ritorna”.
Da quell’istante i miei mi hanno sempre sostenuta e accompagnata nel percorso e anche loro umilmente hanno deciso di mettersi in discussione perché la malattia di un figlio è solo lo specchio di una situazione famigliare disfunzionale.
Se il binge eating mi è servito per omologarmi e rafforzare il rapporto di simbiosi con mia mamma la bulimia è stata il mio urlo di ribellione da una realtà che non mi apparteneva.
In questi anni di strada ne ho percorsa con tutti i vari incidenti di percorso del caso. Sono arrivata che indossavo un abito che non era il mio, mi sentivo vecchia “dentro” anche se mi comportavo come una bambina che aveva 19 anni ed aveva bisogno di una guida in un mondo sconosciuto. Ho superato diverse paure da quella del cibo alla paura verso: gli animali (terrore che aveva una valenza emotiva molto profonda per me), il mondo sociale, dall’instaurare un’amicizia all’instaurare un rapporto amoroso.
Ho conquistato con fatica il dono della parola e in alcuni casi forse parlo anche troppo ma mi piace, perché mi permette di scoprirmi e scoprire.
L’anno scorso ho realizzato un sogno: ritornare a scuola da Professoressa, non è stato facile ma è stato bellissimo ricco di emozioni e di ricordi. Tra le più belle e felici vittorie personali con me stessa. Ormai manca davvero poco per tirare del tutto quel freno a mano che mi consentirà di diventare sempre più una giovane donna libera e indipendente che ama amarsi per poi amare.
Grazie a Chiara e Matteo che mi hanno accolta, ascoltata e salvata dalla disperazione.
Grazie alle ragazze del gruppo di ieri per avermi dimostrato che una vita senza sintomi era possibile ed insieme a quelle di oggi regalato il dono dell’amicizia, della parola e che mi hanno aiutata ad aprirmi e a fidarmi.
Grazie a Fiorella ed Even che insieme a Chiara continuano ad accompagnarmi in questa fase finale di cammino insieme. Ines