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Il mio corpo, l’anoressia, il binge eating, la bulimia, il sesso.

by ChiaraSole Ciavatta

Il mio corpo, l’anoressia, il binge eating, la bulimia, il sesso: Sono nata in una famiglia dominata dalla paura di vivere. Mia madre si è rifugiata nell‘anoressia, il “male minore per sopravvivere”, mio padre, traumatizzato dalla morte di suo padre, nell’iperprotettività. entrambi perfezionisti, mi hanno trasmesso un senso critico fortissimo, un abbraccio duro, pieno di spine. Ho sentito da parte di mia madre freddezza, ho provato la dolorosa sensazione di non essere voluta, di essere un peso e altre volte di essere invisibile. Mi vedevo brutta e grassa da piccola, odiavo le mie foto e mi sentivo inadeguata. da molto piccola, ero vivacissima, curiosa e sorridente. Mi arrampicavo ovunque, impazzivo per gli animali e amavo i colori. Era pieno di vita. Mia madre mi sgridava, non sapeva come gestirmi, ero troppo. TROPPO. Così quel troppo è diventato il mio essere, il mio corpo, io ero troppo e niente allo stesso tempo. quando avevo 8 anni mio padre si è ammalato di aneurisma e per quasi tre anni le nostre vite sono state sotto scacco della precarietà: dall’anoressia, dura, fatta di schemi e implacabilità, siamo passati alla dittatura di una malattia che chiedeva silenzio e portava uno stato di immobile inquietudine. Ho assorbito tutta questa nebbia nera, e mi sono avvelenata di dolore e cupezza. mi sono spenta. avevo tante paure e poco spazio per essere la bambina allegra e spumeggiante. Dovevo aiutare mio padre, dovevo aiutarlo a far dimagrire l’arteria che si era gonfiata vicino al cervello. pensavo a questo, lo vedevo nel letto, incapace di lavorare e spesso anche di parlare. mi mettevo accanto a lui e gli raccontavo qualcosa per distrarlo, lo cercavo nel buio in cui ci eravamo tutti persi: mi sentivo così fragile e allo stesso tempo dovevo tenere tutto dentro per non fargli male. Non ho ricordi di mia madre di quei momenti. Il tempo passò lentamente e lui si riprese. Io ero convinta che gli altri mi escludessero, vedevo tutte le mie compagne di scuola più magre e belle di me; in realtà non ho mai vissuto situazioni di esclusione a scuola e con le amiche, ma io vivevo SEMPRE quella sensazione sulla pelle. Quando il mio corpo, obiettivamente minuto e sottile, cominciò a cambiare, mi sembrò di diventare enorme, ancora più ingombrante. Ero sbagliata, ero inutile, una bestia orrenda. Mi odiavo. volevo dimagrire, volevo far scomparire quel male che sentivo dentro, ma io mi sentivo tutt’uno con quella roba. Mia madre, sempre assuefatta dalla restrizione, mi convinse a non fare di testa mia e ad andare da un dietologo. così fu e il dietologo disse che avevo ben poco da perdere e mi diede la dieta. Persi qualche chilo e già scalpitavo perchè erano pochi e avevo fretta. Poi, all’età di 15 anni, ricevetti un altro pugno in faccia: mio padre ebbe un grave incidente stradale. Abbandonai la dieta, non c’era tempo. La situazione era nera: i medici davano pochi giorni di vita a mio padre, che era in coma e con la maggior parte delle funzioni vitali compromesse. Io non ci credevo. Mi svegliavo e speravo sempre di aver sognato tutto. Mi sentivo abbandonata e non sapevo su chi contare. Ho saltato la scuola molte volte perchè volevo andare tutti i giorni da mio padre e volevo stare con mia madre. stavamo quasi sempre insieme. cominciai a mangiare come lei, a seguire i suoi ritmi, a dimenticare il dolore che sentivo, sostituendolo ad uno stato di angoscia repressa. anche questa volta, per fortuna, mio padre si riprese e nel giro di sei mesi tornò a casa. Io ero così emozionata di riaverlo a casa. Sembrava un uccellino spaventato, era consumato dai mesi in ospedale in casa si muoveva con cautela. io sentivo il bisogno di proteggerlo e di restituirgli un po’ di serenità. Se mi fossi ascoltata, avrei sentito quanto avevo bisogno io di essere protetta e rassicurata. Ero distrutta ma non lo volevo sentire. appena mio padre rientrò a casa, cominciai la mia dieta. Era iniziata la guerra contro me stessa. Persi molto peso, la mia vita si svuotò di calore. Ero a disagio con chiunque, non ricordavo più il piacere dell’amicizia. Pensavo solo al peso, sentivo la fame ogni giorno, mi isolavo sempre. Nel giro di pochi mesi passai al binge eating: mia madre era scioccata, mio padre non sapeva come aiutarmi. Andavo da una psicologa ma non sentivo niente. Mi affogavo nel cibo e poi correvo a fare sport o toccavo a malapena cibo per compensare il troppo. Sono stata anche ricoverata ma più che altro per tenermi lontano da mia madre e per riuscire a finire la scuola. Mi vedevo obesa, gigante, nonostante le taglie che indossavo fossero sempre più basse. Uscita dal ricovero, volevo vivere anche io un minimo di adolescenza, le mie amiche frequentavano i primi ragazzi e volevo anche io buttarmi nella mischia. cosi conobbi un ragazzo al mare. Mi ci buttai a capofitto e fu una vera merda. Le prime esperienze sessuali furono una dopo l’altra e io non ero minimamente pronta. Mi faceva vomitare ogni rapporto e in più lui mi umiliava, dicendo che poteva stare con donne molto meglio di me. Una volta si divertì a sputarmi in faccia. Pagavo sempre io e nel giro di due mesi spesi quasi tutti i miei risparmi. lo odiavo e volevo allo stesso tempo. Aveva anche la dipendenza dal gioco e frequentava gente malata e spesso delinquenti. Mia madre sapeva che qualcosa non andava, glielo dicevo, ma lei lo accoglieva sempre a casa come un figlio. Quel figlio di puttana mi trattava come un rifiuto e lei non mi difendeva. Mi salii un odio feroce verso mia madre. mio padre non sapeva tutto, ma non chiedeva neanche. L’unica che mi aiutò veramente fu la psicologa di quel tempo che mi disse che era una persona malata e che mi stavo facendo del male. Arrivai al limite e chiusi con fatica questo rapporto distruttivo. Mi chiusi poi a riccio e cambiai scuola. Avevo 17 anni. Nella nuova classe non mi aprii con nessuno. pensavo solo ad abbuffarmi. avevo terrore di tutti e non ero lucida. Passò un anno, fatto di abbuffate, sport e restrizione e arrivò in classe una ragazza anoressica. da quel momento le abbuffate divennero quotidiane. Mangiavo sempre, arrivando a sera con il respiro affannato e la tachicardia. non andai più a scuola e mi chiusi in casa. ovviamente presi 21 chili in due mesi e dalla vergogna non volevo uscire. Facevo fatica a lavarmi perchè non volevo toccare quel corpo immondo che mi ricopriva. Ero fatta, andavo in psicanalisi ma dicevo solo che ero grassa e contavo i minuti per scappare ad abbuffarmi. lo psicanalista intanto dormiva, letteralmente, e così dava adito al mio senso di rifiuto. Mesi orribili. Poi scattò in me qualcosa, cominciai a leggere libri, per distrarmi, e presi coraggio, avrei finito la scuola e mi sarei diplomata. Nel giro di due mesi feci dei recuperi, studiai tutte le materie e scrissi la tesina. La testa c’era ancora, non ero morta! Ricominciò una ferrea restrizione e persi tutti i chili. Mi sentivo invincibile. Scelsi l’accademia di belle arti come università e passai alla bulimia. Mangiavo e vomitavo regolarmente, mi aprii socialmente ma sempre sotto sintomo e in maniera distruttiva. Avevo frequentazioni casuali. Sembravo sessualmente disinibita perchè avevo rapporti alle prime uscite e non mi facevo problemi a farlo in macchina o nei bagni dei locali. Sono stata con uomini con il doppio dei miei anni perchè mi sembrava trasgressivo e con ragazzi con dipendenze varie. erano cose caotiche, si rompevano subito e io intanto mi massacravo con il vomito. Poi conobbi M., l’incarnazione delle mie dinamiche. ero pazza di lui. Perchè? Perchè non voleva storie serie, mi chiamava quando gli pareva e non era minimamente affettuoso, aveva altre e faceva usi vari. Perfetto. Per quattro anni sono stata fissata su di lui. Frequentavo altri ragazzi ma lui era il prediletto. E tutte le volte che spariva, io mi sentivo morire. Poi mi cercava e io andavo. Poi scappavo anche io ovviamente. Bevevamo e fumavamo insieme. Finivamo a letto e io non sentivo niente se non il suo desiderio e il senso di essere una delle tante. perfetto, ripeto. Era una delusione continua e questo mi faceva da calamità. Non era interessato a me, se non per il sesso. E così mi faceva sentire anche usata. ho cercato tanti ragazzi così, volevo sentirmi a casa, rifiutata e non voluta per come ero. mettevo su una maschera pesantissima. Fingevo di essere menefreghista, fingevo di divertirmi e di essere spavalda. Invece seguivo le dinamiche malate. sono stata anche in situazioni pericolose come quando andai a casa di un ragazzo che era fatto di ketamina e che voleva avere un rapporto. Gli dissi di no e lui mi disse che ormai ero lì e c’era poco da far storie. Così cedetti e uscii da casa sua vuota e con il marcio dentro. mi sentivo sporca, volevo vomitare alice tutti i giorni. Volevo non essere io perchè non andavo mai bene. niente mi salvava da questo pensiero. Gli anni dell’università sono stati bulimici, passavo dal tutto caotico al niente restrittivo, insomma dal rigore alla trasgressione abbandonata. non mi sono mai concessa il piacere degli studi, capivo che mi piaceva quell’ambiente, ma cercavo solo l’antica sensazione di inadeguatezza e non mi applicavo mai, non mi lasciavo andare. non mi sono mai davvero lasciata andare in niente, mi abbandonavo, sì, ma c’era sempre il paracadute del conosciuto. mi sono laureata, con fatica e abbuffate e poi mi sono sentita di cadere in un vuoto ancora più profondo. “Chi sono? Cosa voglio? Se tolgo le abbuffate, il pensiero ossessivo del dimagrire, cosa rimane?”. Mi ponevo queste domande con angoscia. Avevo paura che il vuoto che sentivo fossi il riflesso della mia anima. Ripresi peso, mi chiusi a casa, ma stavolta vivevo con altre persone, si vedeva troppo che stavo male e mi vergognavo. La maschera era andata in pezzi e mi sentivo nuda. Gli amici non capivano cosa mi stesse accadendo e di nuovo sentivo il bisogno di tagliare i rapporti con tutti. Lo feci. Tornai a vivere con i miei per poter avere la vergognosa segretezza che mi faceva sentire una nullità colpevole. giravo per i supermercati. Cercavo cibi a poco prezzo, volevo riempirmi di roba da poco, ero sempre più stanca e feroce verso me stessa. Mi regalai, con i soldi della laurea, un corso di fotografia in America e sentii l’amore per quell’attività, tutti i giorni mi impegnavo alle lezioni e da sola, ma scartavo il piacere e la libertà, potevo concedermi di fare alla condizione di viverlo come un dovere. la creatività era castrata da questo atteggiamento e così mi sentivo senza idee, inadeguata. La stessa storia ovunque e con chiunque. Naturalmente mi abbuffavo. mi ero portata tutto il pacchetto della malattia. Mi sentivo sola, dentro sentivo un eco di dolore costante. anche lì, ero stata integrata nel gruppo, ma poi mi isolavo, avevo atteggiamenti sfuggenti e dopo un po’ le persone si stancano di rincorrerti. per quasi tutta la vita avevo cercato l’abbraccio freddo, il senso di essere un guscio vuoto e il rifiuto della mia natura. Il mostro invisibile. Ho messo la vera Alice in cantina, ho indossato una maschera contratta e molle allo stesso tempo. Cambiare per tutti e non cambiare mai realmente. Mi vergognavo di tutto quello che ero, avevo paura e me ne vergognavo, mi sono dimenticata di me a tal punto da non sentire il desiderio di qualsiasi cosa non fosse malato e quindi conosciuto. Mi sentivo un’estranea in un corpo odiato, come mi sono sentita un’estranea in casa. tornata dal viaggio in America, mi sentivo la morte dentro. Volevo uccidere il dolore che avevo dentro, con urla mute chiedevo aiuto. E fu così che cominciai a cercare su internet testimonianze di persone che erano guarite dai disturbi alimentari. dovevano esistere. se no meglio morire, mi dicevo. Che cazzo mi restava? Tentai due settimane senza abbuffate, restringendo duramente, ovviamente, e mi trovai a sentire il dolore triplicato, in quanto non coperto da nulla, e vissi delle crisi d’astinenza fortissime al punto da tirarmi pugni sulla pancia e a gridare con un cuscino davanti alla faccia, perchè non volevo comunque sentire la mia voce. se non ero stata accettata da mia madre, allora voleva dire che io non valevo niente. qualche volta mi balenava questo pensiero, tanto doloroso quanto esplicativo del senso di rifiuto che mi perseguitava. per fortuna ho trovato il sito di ChiaraSole. Ci sono tante persone che ne sono uscite! Non esiste solo chi parla di peso e cibo quando si tratta dei disturbi alimentari. Ero emozionata, perchè dopo anni provavo speranza. In pochi giorni presi l’appuntamento e in due settimane mi trasferii a Rimini e da lì ricominciai a respirare, piano piano e con molta fatica. Il primo giorno che ho iniziato il mio percorso di cura a MondoSole, ho fatto una promessa a me stessa, il primo patto con me: da qui me ne vado quando sono guarita, non scappo da nessuna parte, resto qui e affronto tutto. e così sta andando e ogni giorno rinnovo questa promessa a me stessa, in onore della bimba bisognosa di calore che porto dentro. c’è ancora strada, non si pensa mai a quanti anni abbiamo passato nella malattia. Si pensa voglio guarire subito, ma le ferite dell’anima richiedono tempo. Io so che uscirà la mia grinta sempre di più, io so che c’è ancora qualcosa in quella cantina, è ora di aprirmi del tutto. ma se mi guardo indietro, vedo tutta la strada che ho fatto e quanto il corpo e il cibo fossero la parte più piccola di questa potente malattia. Non puoi fermarti alla superficie per capire, devi avere il coraggio di guardare oltre.

Alice B.

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