Gli servi “grassa e insicura”! Il pensiero di Naomi Wolf
a cura del Dott. Matteo Mugnani
Abbiamo parlato della “bolla speculativa” della magrezza e delle diete dimagranti. Viene dunque spontaneo chiederci: quali sono i motivi sociali che hanno portato molte donne (e molti uomini) a definire bella una donna anoressica con un corpo scheletrico?
Perché uno scheletro che sfila in passerella o sulla copertina di una rivista, senza curve, senza seno, senza fianchi, senza ciclo mestruale, dal colorito diafano, spigolosa e ossuta, che barcolla in modo disarmonico, a tante persone appare bella? Tanto da imitarla o desiderarla?
Molti saggisti moderni hanno dato una loro risposta a questa domanda che sembra essere la cartina di Tornasole della società contemporanea, nel senso che se riusciamo a capire questo mito estetico (e di conseguenza il sintomo più diffuso della nostra epoca), allora possiamo dire di aver compreso tutto il meccanismo culturale che fa funzionare la nostra epoca. Molti autori hanno dato risposte diverse, quasi tutte condivisibili, suggestive, utili a questa riflessione collettiva.
Ma a mio avviso la risposta più interessante la diede Naomi Wolf alla fine degli anni 80, nel suo libro “Il mito della bellezza”: “l’anoressia non è un problema di bellezza estetica, ma di obbedienza femminile”. E anche maschile, aggiungiamo noi oggi, estendendo il concetto di obbedienza ben oltre il limite tracciato all’epoca dalla Wolf.
Ma procediamo per gradi, partendo dall’idea della Wolf, che spiegò il mito della bellezza anoressica come una forma di obbedienza ad uno stereotipo scheletrico che sarebbe solo l’ultimo di una lunga serie di modelli di comportamento che ha contraddistinto la storia (sottomessa) delle donne. Dall’obbedienza forzata al ruolo di inferiorità previsto per le donne nei millenni scorsi, all’obbedienza alle gerarchie della famiglia patriarcale (cioè al padre padrone o al marito), fino all’obbedienza ai ruoli di angelo del focolare degli anni cinquanta o di donna in carriera degli anni ottanta: le donne hanno sempre avuto dei modelli sociali standardizzati a cui dover aderire in cambio di un consenso e di un apprezzamento sociale. E di conseguenza estetico.
Il concetto stesso di bellezza femminile, secondo la Wolf, deriva dalla disponibilità della donna ad obbedire e sottomettersi a questi modelli più che da un valore estetico fine a sé stesso. Non si spiegherebbero altrimenti i repentini cambiamenti dal modello formoso e materno degli ’50 a quello filiforme e asessuato di oggi, o dal vitino di vespa vittoriano alle maggiorate del dopoguerra, se non alla luce di un potere che il sistema sociale esercita sui modelli estetici femminili con finalità di controllo sociale dei comportamenti, sia femminili che maschili. Sembra addirittura che i parametri estetici derivino e si adattino proprio al ruolo richiesto alle donne nelle varie epoche storiche.
Richiesto da un sistema di potere maschile ed economico, che trova più attraente una donna obbediente ed alienata (all’uomo o al mercato) rispetto ad una autonoma, emancipata e indifferente alle mode. Un ragionamento teorico sul rapporto tra società e libertà che già aveva tracciato Michel Foucault indagando sulla storia della sessualità e della pazzia come strumenti di controllo sociale.
La teoria della Wolf spiega il boom dell’anoressia negli ultimi decenni sostenendo che questa sarebbe un effetto voluto dal sistema culturale per annullare o ridurre i cambiamenti prodotti dai movimenti femministi degli anni sessanta, cioè sarebbe stata una soluzione “pensata a tavolino” per riportare le donne neo-emancipate ad una forma di nuova alienazione che riducesse la loro autostima e ne placasse l’indole rivoluzionaria, il tutto tramite l’introduzione di nuovi parametri estetici e dietologici impossibili e innaturali, e di un sistema di mortificazione estetica verso chi non rientra entro tali canoni. Cioè “ti apprezzo solo se ti sottometti al sistema dietologico della magrezza” e dunque se poni il tuo corpo al centro di un problema doloroso e di un conflitto quotidiano ed alienante con il frigorifero e la bilancia. Andando a mettere la bilancia e la dieta al posto del vecchio busto vittoriano, della verginità prematrimoniale, della cintura di castità, della segregazione nei conventi, del padre-padrone o della casa-focolare degli anni cinquanta. Un progetto di contenimento dell’autodeterminazione femminile finalizzato a contenere i suoi effetti sull’ordine sociale.
Come distribuire birra gratis ai militari di un esercito in rivolta per placarli e ristabilire lo status quo precedente. “Panem et circenses” dicevano gli antichi per esprimere lo stesso concetto. Ma oggi senza neanche più il “panem”, trattandosi di dieta. Si tratta di un concetto che la Wolf spiegò con un aforisma passato alla storia: “La dieta è il sedativo politico più potente della storia delle donne”. Perché le donne che amano sé stesse sono un pericolo per l’ordine sociale. Mentre le donne che odiano sé stesse e hanno una bassa autostima sono più governabili e meno inclini a fare rivoluzioni culturali. E inoltre comprano di più.
Mi permetto di aggiungere al pensiero della Wolf che la motivazione del sistema culturale che ha avuto interesse a creare questo sistema di mortificazione dell’autostima femminile, forse non va cercata tanto o solo in retaggi misogini o maschilisti (che pure esistono), ma più semplicemente in una elementare legge del mercato dei consumi di prodotti estetici o dietologici, che insegna come una donna che si piace compra e spende molto meno di una che non si piace. La bassa autostima è infatti tra i più noti tratti motivazionali del consumatore suggestionabile, e dunque del compratore emotivo e compulsivo.
Dunque da quando anche le donne hanno avuto un potere d’acquisto economico e sono diventate compratrici potenziali, l’abbassamento della loro autostima è diventato necessario per fidelizzarle come clienti costanti. La compulsione allo shopping si regge in fondo sul circuito perverso tra la carenza di autostima (e la conseguente insoddisfazione) e il temporaneo rinforzo narcisistico e adrenalinico dell’acquisto. Spostando su un oggetto esterno il valore narcisistico dell’Io della persona che acquista. Cioè la stessa cosa che adesso sta avvenendo con adolescenti e bambini, che negli ultimi decenni hanno acquisito un potere d’acquisto e sono diventati anch’essi dei potenziali compratori compulsivi a cui poter proporre oggetti, modelli di comportamento e status symbol.
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