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disturbi alimentari: Trasferirsi in un’altra città, per ragioni che esulano da quelle curative e terapeutiche, non è altro che una fuga

by ChiaraSole Ciavatta

disturbi alimentari: SE NON LO AFFRONTI, IL PASSATO TI SEGUE
La riscoperta del viaggio come PIACERE e INCONTRO CON L’ALTRO

disturbi alimentari: Trasferirsi in un’altra città, per ragioni che esulano da quelle curative e terapeutiche, non è altro che una fuga: Da vocabolario italiano, la parola “viaggio” è definita come lo spostamento di persona o cose da un luogo all’altro; questo può essere perpetuato in senso fisico, per motivazioni turistiche, professionali, personali oppure in senso metaforico, come fonte di ricerca interiore o di ricerca del desiderio.

Ebbene, in nessuna di queste accezioni ritroviamo il concetto di viaggio verso una nuova destinazione, una città ad esempio, come via di fuga dalle problematiche che ci affliggono: i disturbi alimentari.

In senso metaforico, infatti, il significato di ricerca interiore e ricerca del desiderio entra in contrasto con tutto ciò che in questo spostamento fisico, noi cerchiamo e speriamo di trovare; i disturbi alimentaril’anoressia, la bulimia, il binge, sono malattie in forte conflitto col DESIDERIO.

Desiderio verso il cibo, nei confronti di una persona, dell’Altro (amato/odiato), desiderio sessuale, “desideri” emotivi, desiderio al gusto, al tatto, desiderio visivo, uditivo… nulla di tutto ciò deve manifestarsi; nessun rossore sul volto, nessuna emozione deve attraversarci. Non potrebbe essere tollerata. Solo se fossero compulsive, un desiderio, un’emozione, potrebbero essere “sopportate”, proprio come il cibo, divorato, in fretta, ingozzato, durante l’”abbuffata”… non ha sapore, non se ne sente il gusto. Il desiderio ed il piacere non stanno nell’assaporarlo, ma alimentano una dipendenza, dietro la quale si nascondono motivazioni profonde. Non si è in grado d’accogliere il desiderio senza anestesie con queste malattie.

Per cui, già soltanto a rigore di logica, se non si vuole proseguire oltre il ragionamento, si potrebbe comprendere come queste due strade non possano che essere divergenti tra loro, essendo la prima alla ricerca di un desiderio che le seconde, in ogni forma e con ogni mezzo (sintomo) cercano di sopprimere, soffocare, negare, a se stesse, per se stesse e agli altri.

Trasferirsi in un’altra città, per ragioni che esulano da quelle curative e terapeutiche, non è altro che una fuga, uno scappare da dolori, sofferenze, frustrazioni, dinamiche, traumi, situazioni che crediamo di poter cancellare. Crediamo che un semplice allontanamento fisico dal luogo che riteniamo averli generati, possa farci ritrovare la serenità.

Ma non è e non sarà così. Ce li portiamo dietro. Il nostro passato ci segue ovunque andremo. I nostri dolori, le nostre paure, le nostre ansie, i nostri traumi, le nostre sofferenze, le nostre ossessioni, non ci abbandoneranno mai, qualsiasi sia il pianeta che abiteremo.

Un viaggio, un trasferimento di città, o un qualsiasi cambiamento, comportano apertura verso l’esterno e verso l’Altro, imprevedibilità, il confronto, la conoscenza, la scoperta, il piacere, l’accoglienza delle emozioni. Ma siete proprio sicuri che, se non supportati da un adeguato sostegno terapeutico, non sarà tutto uguale a prima o forse anche peggio?
Non è forse vero che queste malattie non tollerano l’imprevisto? Tutto deve rimanere com’è, nulla deve cambiare. Da un lato e per certi aspetti, una sorta d’immobilismo. Per altri aspetti, come il peso, il corpo, e non solo, il “tutto e subito”. La solita contraddizione insita nella nostra malattia.

Ogni giorno gli stessi schemi, precisi, rigorosi, ossessivi, maniacali, quasi alla Jack Nicholson in “Qualcosa è cambiato”… perchè, da soli, senza un aiuto terapeutico, dovrebbero svanire nel nulla?
Solo per il fatto che cambia il luogo? Banale, non trovate? Di certo c’è che ce la “raccontiamo” proprio bene…
E ancora.. l’Altro non è forse “strumentalizzato” in base alle nostre esigenze malate? O non accolto, rifiutato, rigettato, come il cibo? Non può entrare se non entro certi limiti. L’Altro non è accoglibile perchè ritenuto pericoloso, invasivo, traumatico, desiderabile, perverso, edipico: ognuno ha le sue personali motivazioni da ricercare e scoprire per riuscire, poi, finalmente a far entrare l’Altro.

Non ci può essere confronto, scoperta, conoscenza, piacere. Il Piacere per noi è una minaccia, come il cibo d’altronde. Dunque, come potremmo pensare che ci possa “piacere” VIVERE in un altra città? In fondo si tratta sempre di vivere, o meglio di come stiamo cercando di SOPRAVvivere, giusto? …
Tutto è concentrato e indirizzato verso un unico e solo catalizzatore che permette di non farci sentire tutto ciò che c’è dietro: CIBO, PESO, CORPO, BILANCIA, GRASSO, MAGRO, SPECCHIO….
Prima di arrivare a MondoSole, pensavo anch’io che “cambiare” città e andare lontano da Napoli, rappresentasse la soluzione ai miei problemi.
Per quanto bella e calorosa come metropoli, ai miei occhi rappresentava tutto il male che avevo vissuto, subito e che mi portavo dentro; che si manifestava attraverso i sintomi. Ingenuamente pensavo che lasciando Napoli, lasciavo dietro di me anche le mie sofferenze e la mia malattia.

Speravo che tutto sparisse, che di colpo: tutti i disturbi alimentari binge, anoressia, bulimia e cutter diventassero solo un brutto ricordo.
Naturalmente non è stato così. Sono trascorsi tre anni di puro massacro sintomatico, anche per l’intermittenza ed il mediocre sostegno terapeutico. Ero sola nelle mie paure, nelle mie ossessioni, nei miei schemi che si facevano sempre più rigidi e la malattia controllava tutta la mia vita.

Negli ultimi mesi dei tre anni di vita pistoiese sono nuovamente “fuggita” dalla città che avevo scelto, sperando inconsciamente di fuggire dai disturbi alimentari. Per rifugiarmi in un “luogo non reale”, in un luogo virtuale.
Internet, infatti, era diventato la mia città, la mia vita, il mio mondo. Un mondo dove non bisognava confrontarsi, condividere, nel quale non dovevi incontrare l’Altro, nel quale potevi indossare infinite “maschere”, potevi descrivere a te stessa e agli altri quello che volevi, potevi nasconderti e nasconderti agli altri.
“My Life” era il nome del mio computer. Un nome che dice tutto. Avevo delegato la mia vita ad una macchina, tra un’abbuffata e l’altra, tra un sintomo e l’altro.

Da Napoli a Pistoia a Internet… una fuga continua, costante, in cui ero sempre più sola, senza aiuti terapeutici, ma sempre più dipendente da cibo, ossessioni, schemi…ed ora anche dal web. Un mondo pericoloso se vissuto come totalitario, come dipendenza e non come strumento lavorativo e di ricerca d’informazioni, qual è diventato oggi, grazie ad un percorso di cura.

Ho capito che, senza un adeguato percorso di cura nel quale investire tutte le mie energie e senza l’aiuto di persone specializzate in grado di potermi aiutare, a cui dare piena fiducia, a cui affidarmi, vagherei ancora di città i città. Insomma sarei una nomade tuttora.

Finalmente oggi, dopo tanto lavoro interiore, terapeutico, potrei fare un viaggio per il semplice PIACERE di conoscere qualcosa di nuovo, di diverso, d’imprevisto, con la massima apertura verso l’esterno, verso l’Altro, confrontandomi, ascoltando, comprendendo, immedesimandomi, accogliendo e vivendo nuove emozioni, scoprendo, senza bisogno di fuggire dal passato, da un passato rielaborato, metabolizzato, interiorizzato, senza bisogno di nascondermi, di indossare “maschere”.

Il viaggio può essere ovunque, ogni giorno, in ogni piccolo posto, dietro l’angolo della strada, in ogni incontro, in ogni e per ogni conoscenza.
Valentina

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