disturbi alimentari omosessualità: quanto è stato difficile accogliere la mia identità di genere… Seppellita in anni di DCA.
disturbi alimentari omosessualità: Per anni ho sentito in me qualcosa di inopportuno, inadeguato, peccaminoso… qualcosa da cancellare, negare, sotterrare… e così per anni ho cercato di distruggere il mio desiderio e con esso la mia vita.
Cosa vuol dire esser donna? Il significato che davo alla parola donna era “una che va con gli uomini”. Per essere donna dovevo essere seducente: questa l’accezione della femminilità che mi era stata inculcata in famiglia sin dall’infanzia: Queste le parole che ho sentito dire per anni, questi gli imperativi che bombardavano la mia testa. Non mi sono ritrovata mai in questa idea di femminilità e per questo motivo mi sono sempre sentita sbagliata. Mi sentivo in colpa perché ero lontana da quell’“ideale” e non ero come sentivo che mi voleva mia madre.
A quattordici anni ho scoperto la mia identità sessuale…… ed ho iniziato a massacrarmi.
Pianti su pianti, preghiere su preghiere per estirpare il peccato più grande: l’omosessualità.
Essere donna e desiderare, amare, pensare ad una donna era inconcepibile, inammissibile. Allora forse non ero una donna, pensavo, forse ero un uomo in un corpo sbagliato, perché se ero donna, dovevano piacermi gli uomini. “Donna e donna è contro natura” ripeteva il mio cervello.
Ho iniziato a ricalcare l’idea di femminilità che mi era stata insegnata: dovevo essere una seduttrice. Mi sono infilata nel letto di molti uomini solo per sentirmi donna, per sentire che andavo bene, che non ero sbagliata.
Ma il desiderio, che è ciò che fa pulsare la vita, non si può mettere a tacere, se non anestetizzandolo. Col sintomo bulimico ho cercato di cancellare ogni traccia del mio desiderio peccaminoso annegandolo in chili di cibo. Ma ogni volta che mi “risvegliavo” da un’abbuffata, di cibo o di sesso, mi accorgevo di sprofondare in un baratro sempre più profondo. Ho sempre pensato che la vita potesse essere diversa, che ci potesse essere dell’altro, che si potesse vivere veramente, ma pensavo però che questo a me non fosse concesso, che la felicità non potesse riguardarmi… ma non era così.
Ho scelto, forse non del tutto consapevolmente, forse per disperazione più che per altro, di farmi dare una mano per risalire da un pozzo che credevo senza via d’uscita e ho cominciato passo dopo passo, gradino dopo gradino a costruirmi una vita e a costruirmi la mia felicità.
Sollevando il coperchio-sintomo è emersa tanta sofferenza a cui cominciare a dare un nome e un senso.
Durante il percorso ho riscritto pian piano la storia della mia vita e nel costruirmi la mia identità ho dato spazio finalmente al mio desiderio, quel desiderio omosessuale così a lungo negato.
Ho cercato a lungo, durante il mio percorso di cura/rinascita a MondoSole, di giungere ad un compromesso con la mia omosessualità nascondendomi dietro una finta convinzione-speranza di essere un uomo mancato, un uomo in un corpo di donna: solo così credevo di potermi concedere di amare e desiderare una donna.
Ma poi piano piano ho lasciato cadere ogni maschera, ogni menzogna, accettando di sentirmi, vivermi e amarmi per ciò che sono…
Sono una donna e amo un’altra donna. Oggi mi sento davvero e finalmente una donna e mi sento tale proprio perché amo profondamente la mia compagna… perché la femminilità non si riduce a un tacco, una gonna o un rossetto, non è ideale esterno a cui ci si può uniformare: credo che ciascuno costruisca un proprio senso di essa nel momento in cui si concede di dar spazio al proprio desiderio.
Quella che è sempre stata la mia condanna è oggi la mia felicità. Felicità che è passata attraverso tante lacrime…non è semplice liberarsi di tutti i condizionamenti… non è semplice fare ciò che si sente indipendentemente da ciò che penseranno e diranno gli altri… non è semplice concedersi di poter amare e essere felice… ma si può.
Roby