disturbi alimentari la manifestazione di un disagio: il sintomo alimentare LO SI AMA E LO SI ODIA testimonianza e riflessione
disturbi alimentari la manifestazione di un disagio: L’esplosione. Il grido dell’anima. Il dolore che emerge e si maschera in un atto autodistruttivo. Che sia anoressia, bulimia, binge eating o qualsiasi altro tipo di sintomo.
Il sintomo, lo si ama e lo si odia, lo si vuole e non lo si vuole. Avere un sintomo potente e mortale è una tortura, perché se ne ha ardentemente bisogno. Fa male, ma fa bene. Un paradosso: Un maledetto paradosso.
Una via di fuga. Una scappatoia inconscia per aggirare l’ostacolo, il male storico che sentiamo.
L’unico modo per uscire dal labirinto è interrogare il sintomo, ma mai da soli, bensì sempre con l’aiuto di professionisti specializzati: Perché ce l’ho? A cosa mi serve? Cosa voglio comunicare? Cosa non voglio sentire?
Il sintomo parla. E’ in grado di svelarci tutto il mondo che abbiamo dentro. Più si rimanda, più tornerà, e sempre più violento.
Quando ho smesso di mangiare, non mi rendevo conto del perché lo facessi. Volevo dimagrire, mi dicevo, ma oggi so che c’era molto altro. Un groviglio intricato di situazioni, di eventi e di dinamiche storiche che mi portavo dentro sin da bambina. Un dolore antico sempre scansato…
Dimagrire era come annullarmi. Volevo spegnere la vita in me. Tutto ciò che ero io, doveva sparire, perché ero sbagliata e non potevo accettarmi. Non potevo vedermi crescere, perché io dovevo rimanere bambina. Il sintomo anoressico mi è “servito” ad allontanare la tanto temuta vita adulta.
E a tante altre cose… il puro e schietto masochismo che da godimento, il far preoccupare la famiglia e mettermi in una posizione di centralità assoluta rispetto al mondo, lo scansare le responsabilità, il concentrarmi su me stessa e il mio corpo lasciando tutto il resto fuori…
Quando provavo un’emozione, invece di viverla ed elaborarla, ricorrevo inconsciamente ad un sintomo.
Insieme all’anoressia ho anche un passato di autolesionismo. Quando non riuscivo a parlare, a difendermi, ad arrabbiarmi o a piangere, mi tagliavo. Il sangue mi dava soddisfazione. Il taglio era un mettere un freno all’emozione indesiderata, una protezione, una coccola. Anche qui il paradosso è evidente. Mi facevo del male, ma mi faceva del bene. Il male mi faceva bene! Dopo ogni rito, mi sentivo più leggera.
Col sangue usciva fuori il demone che era in me in quel momento. Ma non spariva… si sarebbe ripresentato, sempre più forte e cattivo. Avevo sempre una lametta con me, ovunque andassi. Il pensiero di potermi ferire era un sollievo. Così come il pensiero della morte. Una culla. Se non accetto la realtà, posso sempre uccidermi.
Questo pensiero così angosciante mi ha accompagnato per tutta la vita. Ancora li ho, questi pensieri, ma so dove e a chi aggrapparmi per non cadere nel burrone. Quando mi vengono, proprio come quando si ha un sintomo, so come agire e cosa fare, so interrogarmi e tutelarmi, anche se è molto difficile e impulsivamente si è portati a scegliere la strada della sofferenza. Perché, come ho già detto, nella sofferenza c’è un godimento immenso. Una trappola.
Perché non basta mai. Si alza sempre la posta. Come col peso, stessa cosa… non andrà mai bene, deve calare sempre di più. Così i tagli dovevano essere sempre di più per raggiungere lo stesso effetto. Come con la droga. Perché avere un sintomo alimentare è come essere drogati, sedati, oppure adrenalinici, iperattivi… il controllo del peso è indispensabile, la bilancia la miglior amica e nemica, il cibo oggetto d’amore e di repulsione.
Silvia G.