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Dismorfofobia Oltre lo specchio. Riflessione

by ChiaraSole

dismorfofobia

La dismorfofobia (dal greco antico dis – morphé, forma distorta e φόβος, phobos = timore) è la fobia che nasce da una visione distorta che si ha del proprio aspetto esteriore.

Oltre lo specchio (ci sei tu!)

“I’ll be your mirror, reflect what you are, in case you don’t know”

Cosa e chi vediamo davvero quando ci guardiamo allo specchio? Quale immagine ci restituisce quella superficie riflettente che tanto spesso abbiamo interrogato? Verrebbe spontaneo rispondere che ciò che vediamo sono semplicemente i nostri connotati fisici, ma il rapporto che un individuo intrattiene con lo specchio è molto più complesso, e quella che vediamo riflessa la maggior parte delle volte non è solo la nostra immagine bensì un infinito e cangiante caleidoscopio” che muta al mutare del nostro sentire, in un dialogo continuo tra interiorità ed esteriorità, tra il come ci sentiamo e il come ci vediamo. Col pennello della nostra emotività andiamo a dipingere ogni volta un ritratto diverso a seconda di ciò che viviamo in quel dato momento, specie se si ha eletto il corpo come sede e teatro di un’antica sofferenza mai elaborata, di conflitti profondi ed emozioni inascoltate.

Ciò che si domanda allo specchio non è quindi solo di mostrarci come appariamo, il nostro aspetto, ma soprattutto chi siamo e chi vorremmo essere. Il travaglio della ricerca dell’ identità, della lenta costruzione di Sé, passa infatti anche attraverso l’osservazione della propria immagine: identificarsi in ciò che si vede, in un processo di riconoscimento che ci porta a dire “quello sono io”, e al tempo stesso ad istituire un rapporto tra l’io e un io ideale, tra il come siamo e il come vorremmo essere.

Soprattutto durante il periodo dell’adolescenza, in cui le trasformazioni puberali e l’emergere di una realtà pulsionale difficile da accettare rendono molto delicato il rapporto con lo specchio, l’ immagine speculare inizia a vivere quasi di una vita autonoma, indipendente dal soggetto. La fissazione su inestetismi spesso immaginari, su un corpo mai abbastanza magro o comunque mai abbastanza perfetto, nasconde in realtà un’angoscia di altro genere legata al riconoscimento di un corpo sessuato e ad esperienze emotive con cui non riusciamo a dialogare e che proiettiamo sul corpo, rendendolo portavoce di una realtà interiore troppo complessa da integrare e accettare. Il corpo diventa il simbolo di quell’imperfezione originaria di cui il “troppo” da eliminare e il difetto da estirpare sono l’espressione, vale a dire l’impossibilità di adeguarci alle continue richieste di un super-io troppo esigente.

Questa percezione alterata della propria immagine corporea prende il nome didismorfofobia”, in cui la sensazione di deformità e l’ossessiva preoccupazione per difetti inesistenti o minori domina l’intera vita dell’individuo. Quella del dismofofobico è dunque una vita passata all’ inseguimento di un’immagine capricciosa che sfugge ad ogni tentativo di controllo, che non si lascia cristallizzare, che non si lascia plasmare. Una vita passata davanti allo specchio, ad indossare la propria immagine come fosse un abito su cui dover mettere toppe in continuazione, su cui dover sempre apporre modifiche e migliorie, alla ricerca di un Sé così difficile da trovare. Un’immagine persecutoria, che ci riporta sempre e comunque al nostro non essere mai abbastanza, e ci sfida ad avvicinarci il più possibile all’ io ideale, a controllare quell’immagine, a perdersi in quel riflesso, ad esercitare un potere su quel corpo.

Ma su cosa si cerca veramente di avere un controllo? Sull’immagine o su cio’ che quell’immagine, quel corpo, comunica  e contiene? E cosa si cerca davvero di cancellare? Presunti difetti estetici o antiche ferite di cui il corpo reca vivida la memoria?

Chi soffre di dismorfofobia spesso si percepisce come letteralmente mostruoso, e arriva talvolta a provare vera repulsione verso ciò che vede allo specchio, senza rendersi conto che odio e repulsione sono solo proiettati, “spostati” sull’immagine corporea. Quello che si detesta e verso cui si prova repulsione è altro, e attiene ai vissuti personali del soggetto: traumi, moti pulsionali, esperienze emotive, tutto stipato gelosamente all’interno del proprio “corpo-scrigno”. Solo scegliendo coraggiosamente di forzare questo scrigno, di sviscerarne il contenuto, anche quello più doloroso e inaccettabile, sarà possibile liberare il corpo, e l’immagine allo specchio perderà finalmente il suo carattere persecutorio.

Francesca A.

La Dismorfofobia [o disturbo dismorfico del corpo (BDD)] è disturbo psichiatrico più prevalente nelle donne che negli uomini. Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, quinta edizione (DSM-5), riporta che il 7-8% dei pazienti che cercano interventi di chirurgia plastica hanno BDD ma questo potrebbe benissimo essere solo la punta dell’iceberg per quanto riguarda la prevalenza del BDD è preoccupato.
Queste persone sono così centrate sui loro difetti auto-percepiti” del viso o del corpo che tendono ad ignorare altri aspetti importanti della vita come il lavoro o la famiglia o anche la loro salute e il loro benessere. La preoccupazione associata ai difetti “immaginati” o “lievi” è così radicata e problematica per queste persone che passano quasi tutto il loro tempo ad angosciarsi per ciò che vedono sul loro viso o in alcune parti localizzate del corpo o sull’intera immagine corporea che lo specchio rimanda. Si abbandonano a comportamenti infruttuosi come il ripetuto controllo speculare o chiedendo agli altri “quanto male stanno… quanto sono grasse…?”. Queste persone, piene di sofferenza, si trovano spesso a confrontare il loro aspetto con quello gli altri e quasi sempre ritengono di essere il peggio del peggio, mentre tutti gli altri migliori di loro. La convinzione costante di essere “brutti” o “poco attraenti” o addirittura “ripugnanti” supera il loro intero processo di pensiero e nessuna rassicurazione o negazione del “difetto” può convincerli o placarli.

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