DCA: “prima lo si riconosce e si chiede aiuto, prima ci si salva” : 19 anni avevo, ovvero ben sette anni fa quando stavo stra-male.
Mi sembra passata una vita, invece sono solo sette anni.
Guardala, da poco maggiorenne, guida la macchina, appena diplomata e iscritta all’’università. Lavora in un bar, danza e svolge corsi di “zumba” per racimolare qualche soldo in più. Quel denaro che poi gettava nei supermercati, bar, gelaterie e ancora pasticcerie.
Era un periodo in cui nonostante il sintomo del binge eating regnasse, iniziai a divenire una fedele suddita della restrizione.
Non ero in grado di stare con me stessa almeno per un istante, perché il sol pensiero di sentirmi affogare da “tutta quella roba lì”, mi faceva mancare l’aria!
Parevo una palla da squash, passavo da un luogo all’altro per riempirmi, iniziavo a sentirmi forte e in grado di potercela fare perché riuscivo a perdere peso e l’immagine che vedevo riflessa mi sembrava a tratti più accettabile.
Quella maglietta che tanto mi piaceva avrei finalmente potuto indossarla se solo avessi continuato a far fede alla mia forza di volontà: Madonna, quante minchiate che mi raccontavo. Ma ero proprio convinta, ve lo giuro.
Nel frattempo continuavo a perdere peso in maniera “normale” agli occhi degli altri, fui considerata normopeso con qualcosa da migliorare, anche perché arrivavo da un periodo di sole abbuffate e di conseguenza il peso c’era (e non parlo solo di quello corporeo, ovviamente).
Mi lamentavo spesso della mia pancia, parte corporea estremamente sintomatica per me, ma tutti mi smentivano.
Cercavo continue conferme che agli occhi degli altri non fosse come la vedevo e sentivo io, ma non mi bastavano mai e mi sentivo pure bugiarda perché gli altri che ne sapevano che usassi le pancere di mia madre.
Infatti nessuno poteva toccarmi, altrimenti sarei stata sgamata. Guardare ma non toccare, ma nemmeno guardare.
Sta il fatto che l’illusione di controllo e di potere prevalse su di me, mi accecò e iniziai a sentirmi invincibile, non avevo bisogno di nessuno.
E fu proprio in questo preciso momento che iniziò una nuova fase sintomatica della mia vita.
Cosa ne sapevo che da lì a poco avrei conosciuto la mia prima dipendenza affettiva che mi prosciugò per tre anni.
Ovviamente le qualità le aveva tutte: spacciatore (dicevano), donnaiolo, stronzo, personal trainer, molto curato nella sua immagine…insomma un gran figo!
Minchia ma questo mi ha vista, mi ha cagata, mi ha scelta!
Chissà che ci vede in me, magari quel qualcosa che io non riesco ancora a vedere.
Forse è quel tassello mancante che mi serve per raggiungere la perfezione, forse ha visto qualcosa di buono, qualche potenzialità. Cazzo, un giorno forse sarò come quelle modelle atletiche influencer che seguo su Instagram e tutti mi apprezzeranno, e perché no, forse mi invidieranno pure.
Cosa avrò fatto di buono per meritarmi tutto questo proprio non lo so.
Minchia se stavo fuori.
Conobbi P. tramite un amico che però mi avvisò di tutto quello che si diceva sul suo conto.
Ebbene sì, furono proprio quelle voci a bombardarmi di adrenalina!
Feci di tutto per avere un contatto con lui e appena lo vidi scoppiò la scintilla, quella scintilla che poi si rivelò una miccia distruttiva e devastante.
I miei genitori ovviamente erano a conoscenza di tutto, sia della presenza di P. e di quello che si diceva avesse fatto e per loro tutto ciò fu un fulmine a ciel sereno.
Quella ragazzina timida, simpatica e divertente, brava e buona, ancora piccola e ingenua non poteva stare con una persona così.
Mi fu’ proibito di vederlo, “o scegli noi o lui”: io scelsi lui.
Iniziai a vederlo di nascosto, scappavo di casa per incontrarlo, mia madre a notte fonda mi venne a cercare più di una volta per il paese in cerca della mia macchina parcheggiata (che io stessa nascondevo in posti più improbabili), le chiamate perse, i messaggi, l’ansia e la paura che mi esplodevano in pancia.
Non sapevo che fare; da una parte mi sentivo sminuita e non ascoltata, non considerata in grado di poter scegliere chi frequentare, di crescere e scoprirmi. A me piaceva quel ragazzo!
Dall’altra, invece, mi sentivo estremamente in colpa perché stavo tradendo i miei genitori ed erano passati apparentemente in secondo piano, non stavo più soddisfacendo le loro aspettative; da buona figlia mi ero trasformata in pecora nera, brutta e cattiva.
Sporca.
Mi sentivo sporca ma più loro mi punivano, più io rincaravo la dose, sempre più difficile da sostenere e passavo dall’abbuffarmi al punirmi con il digiuno costantemente.
Non so’ bene quale fu’ il momento in cui la situazione si ribaltò.
Lui divenne un angelo sceso dal cielo, colui che si prendeva cura di me, la mia guida.
Iniziò ad allenarmi, a dire come nutrirmi in maniera corretta.
Passavo da mille addominali a bilancieri con 60 kg, trazioni a manetta e via.
Il mio stereotipo di bellezza era sempre dietro l’angolo ma pur continuamente irraggiungibile, un corpo molto mascolino secondo la mia testa era perfetto per guarire e cancellare quella me del passato insoddisfatta di sé stessa, che si faceva costantemente schifo.
Ma non capivo, quella persona che mi aveva scelta e che mostrava così tanta cura verso di me, nello stesso tempo mi faceva sentire anche sbagliata: non potevo più lavorare al bar perché ero troppo in pericolo, i clienti erano maleducati secondo lui e si prendevano troppe libertà e di conseguenza non si fidava né di me né degli altri, non mi considerava in grado di poter dire di no o di mettere dei confini.
Io mi incazzavo, mi sentivo stupida e quel sentimento era troppo familiare per me, perciò dovetti attivare tutti gli strumenti che avevo per non scatenare abbandoni e per far sì che lui mi credesse.
La mia tattica era quella dell’essere brava e buona, “non faccio del male a nessuno”, “non è colpa loro”, “ti prometto che non succederà più”, quindi iniziai sempre meno a vedere le mie amiche e ad andare all’università (perché secondo lui c’erano troppi ragazzi nel mio corso), a danzare (perché mi esponeva troppo agli occhi degli altri) e a lavorare al bar.
Nel frattempo, agli occhi dei miei genitori lui divenne una persona buona. Era educato e rispettoso, considerava la mia famiglia la sua nuova famiglia, era sempre con noi e io facevo di tutto per integrarlo e perché i miei lo accettassero. Raccontavo a mia madre quanto buono fosse con me e che forse io avrei dovuto rispettarlo di più, che a volte sbagliavo e che se discutevamo, la colpa era mia.
Ebbene sì, cazzo non esistevo più, se ci ripenso non so come stavo vivendo, tant’è che ancor oggi ho vari buchi temporali, perché mi fa male ricordarmi così nulla e inconsapevole.
Mi stavo scavando la fossa da sola, litigavo con tutti perché lo difendevo a spada tratta, ma soprattutto con mia sorella ebbi un periodo di forte stacco perché odiava vedermi così e io pensavo volesse solo il mio male. Sono stata stupida lo so, ma in quel momento vi giuro che proprio non ci capivo un cavolo.
A livello sintomatico ero completamente allo sbando, passavo dal farmi vedere che mangiavo bene agli occhi di tutti, all’abbuffarmi di nascosto prima della cena di famiglia; ricordo che prima di raggiungere i miei genitori al ristorante, mi fermavo sempre in una pasticceria ad acquistare un vassoio di pasticcini, che ovviamente mi mangiavo in macchina nel tragitto e bene attenta che nessuno mi potesse vedere. Arrivavo al ristorante, pizza e gelato e la pancia mi scoppiava, “tanto ormai ho scazzato di brutto, domani mi ripiglio”.
Ragazze, non ve la raccontate, perché il rimbalzo poi fa veramente male, il vedere che ancora una volta hai ceduto alla tentazione, che hai fallito e che ti sei dimostrata per l’ennesima volta un fallimento totale.
Chiedete aiuto! Esiste qualcuno che capisce quel mondo che vi divora e che voi stesse non comprendete, non siete pazze e casi persi.
Per fortuna mi vien da dire, il mio limite lo raggiunsi tre anni dopo, ero talmente satura che non ce la facevo più, volevo la mia libertà e tutto ad un tratto passai dall’essere serva all’essere schifa di tutto. Non sono mai riuscita a mentirmi riguardo allo schifo che provavo verso me medesima, era una sensazione che non riuscivo a tollerare, come quando un animale si arrovella nel fango e ha bisogno poi di lavarsi.
Il modo è sempre stato discutibile, certo, perché tendo a scappare da una situazione che è più grande di me e così feci.
Sparii dal nulla senza dare giustificazioni, “non ce la faccio più, basta, non ti voglio più”, ottenendo dall’altra parte una bella incomprensione e perplessità.
Per forza, non ho mai dato giustificazioni e vaffanculo, non ero tenuta a darle quindi di punto in bianco decidevo di finire tutto e basta, speravo che quella parte della mia vit si cancellasse nel minor tempo possibile svoltando pagina.
Errore, perché poi nel tempo mi si ripresentò la stessa situazione, con sfumature diverse ma pur sempre familiare.
Vi è mai capitato di sentirvi così incomplete e impercettibili, inesistenti e bisognose di appartenere a qualcuno o qualcosa?
Nemmeno il cibo è più in grado di saziare quel vuoto incolmabile che brucia dentro, hai bisogno di più adrenalina, di riempirti di farfalle e non di cibo.
Mi hanno sempre detto che le farfalle sono qualcosa di positivo e penso sia vero, ma non per chi come noi soffre di questa malattia.
Quelle famose farfalle la richiamano, ci dicono che non possiamo far capolino con la testa dalla finestra. Queste farfalle ci girano talmente tanto attorno che ci ubriacano e ci confondono, ma in fondo anche nei film dicono sia un qualcosa di meraviglioso quindi perché per noi non dovrebbe essere così?
Mi fido, quando le percepisco le assecondo e mi ci tuffo a bomba. La sensazione? Tutto bellissimo, un sogno, la testa inizia ad andare oltre e non si ferma più, praticamente hai già l’anello al dito, un cane e tre figli.
Eppure c’è qualcosa che non torna perché man mano che il tempo scorre non mi sento come la protagonista bionda del film di natale, felice e completa. Anzi, mi sento sempre più vuota e più dono di me stessa più mi perdo. Queste farfalle devono essere volate via mi dico, ma sarà solo un periodo.
Dicono che i momenti difficili ci debbano essere in una relazione e che una volta affrontati, fortificano il rapporto; cavolo, non pensavo fossero così sanguinosi, mi sento sfinita e le cose non migliorano. Non ho più forze.
A quanti di voi è capitato di conoscere una persona e un secondo dopo di dire “ah sì, questo è quello giusto me lo sento!”?
Perché in fondo siamo sognatori, desideriamo vivere in un mondo idilliaco nel quale andrà bene e dove i problemi non esistono, ma la realtà è che non sappiamo cosa significhi star veramente bene quindi continuiamo a cercare quello che ci hanno insegnato o che abbiamo visto e vissuto.
Quello di cui molte persone soffrono incoscienti e inconsapevoli ha un nome e si chiama dipendenza affettiva ed è un vero e proprio sintomo che prima si riconosce, prima ci si salva.
“prima si riconosce e ci si ammette di soffrire di disturbi alimentari e, prima chiedi aiuto, PRIMA CI SI SALVA”
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