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DCA Non so più cosa vuol dire stare bene.

by ChiaraSole Ciavatta

Pubblico una toccante e importante riflessione di una deliziosa persona che ha intrapreso il suo percorso di cura da pochissimo tempo… Ti ringrazio 🙏 infinitamente per la preziosa condivisione:

I miei pensieri non hanno né capo né coda, l’ago della mia bussola punta nella direzione sbagliata ed ogni volta che cerco i punti cardinali cambia direzione ruota su se stessa e non mi da tregua.

É un circolo fisso e continuo tra il pensare che mi sto inventando tutto, che non sono malata, che il mio corpo è sano e che questo è solo un grande capriccio , e il desiderio irrefrenabile e tremolante di gridare aiuto, di urlare, di piangere come piangono i bambini, senza vergogna, con le gocce al naso, la bocca spalancata boccheggiante e il viso paonazzo.

Tra l’assurdità di voler essere piccola piccola tanto da rendermi invisibile nel mio dolore e nasconderlo al mondo, al paradosso opposto che mi porta ad essere non invisibile ma bensì trasparente, che mi divide, tra la vergogna al solo pensiero che le persone che amo pensino che tutto questo sia per avere attenzioni ed il desiderio di voler essere accolta in un grande abbraccio consolatorio.

Tra i miei sbalzi d’umore che mi portano a piangere ingoiata dal mio dolore, dove solo la tristezza esiste e nulla più, nemmeno me stessa, per finire mezz’ora dopo ad emozionarmi di gioia, immensa e pura nel giocare con i fumi dell’incenso mentre fuori la pioggia fa da musica.

Ed io qui, esattamente qui, nell’intermezzo indefinito tra i miei stati d’animo, non so più chi sono, cosa faccio perché lo faccio.
Non so più cos’è vero o finzione , non so più.

Mi perdo e cerco conforto nel vuoto, nell’assenza, cerco spazio, un posticino piccolo piccolo dove rannicchiarmi, al sicuro, da sola. Da sola perché vorrei tanto essere creduta quando dico che non è colpa di nessuno, che è tutto il mondo dentro di me che sta creando questo tornado…

Cerco il nulla, perché questa vita non mi lascia il respiro o il tempo ora per trovare il sentiero e proseguire il cammino, allora mi fermo, come rimangono sospesi i fiocchi di neve tra una corrente di vento e l’altra, che alla percezione dei miei occhi in quel millisecondo risiede l’infinito…nell’immobilitá di quest’attimo che forse in passato non mi ero concessa, mi fermo, e vorrei fermare il mondo assieme a me, per vedere tutto più chiaro, invece lui non aspetta.

Mi verrebbe da dire di lasciarmi qui, eppure sono così tremendamente attaccata ad ogni respiro, così attenta ad ogni segnale, che questa, ora sto capendo, è la mia scommessa più grande, che io davvero voglio vivere.

Quante volte mi è stato chiesto da persone care, in cerca di risposte, ” ma cosa ti é successo?”, niente rispondevo io, niente.
Mi viene in mente un passo di un libro a me molto caro ” La leggenda del pianista sull’oceano” che recita così :

“A me m’ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, fran, giù, cadono. Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, fran, cadono giù, come sassi. Nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro, fran. Non c’è una ragione. Perché proprio in quell’istante? Non si sa. Cos’è che succede a un chiodo per farlo decidere che non ne può più? C’ha un’anima, anche lui, poveretto? Prende delle decisioni? Ne ha discusso a lungo col quadro, erano incerti sul da farsi, ne parlavano tutte le sere, da anni, poi hanno deciso una data, un’ora, un minuto, un istante, e quello, fran. O lo sapevano già dall’inizio, i due, era già tutto combinato, guarda io mollo tutto tra sette anni, per me va bene, okay allora intesi per il 13 maggio, okay, verso le sei, facciamo sei meno un quarto, d’accordo, allora buonanotte, ‘notte. Sette anni dopo, 13 maggio, sei meno un quarto, fran.

Non si capisce. È una di quelle cose che è meglio che non ci pensi, se no ci esci matto. Quando cade un quadro. Quando ti svegli un mattino, e non la ami più. Quando apri il giornale e leggi che è scoppiata la guerra. Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui. Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio. Quando, in mezzo all’Oceano, Novecento alzò lo sguardo dal piatto e mi disse: “A New York, fra tre giorni, io scenderò da questa nave”. Ci rimasi secco. Fran.”

Ecco, ho fatto “Fran”, mi è successa la vita.
E vorrei raccontarti, vorrei farlo davvero ma come faccio a parlare … se neanche so cosa dire, che tante sono le cose che insieme formano un tappo.
La corrente è troppo forte e non vi sono canali.

Non mi ricordo più cosa vuol dire stare bene, se non nel momento esatto in cui lo vivo, e mi chiedo e mi domando per quale motivo la memoria di un dolore debba sempre prendere uno spazio tanto forte ed arrogante , tagliente, rispetto al ricordo di una gioia.

E mi chiedo, se io tutte queste cose le so, perché non so come farle finire?
Mi sento in trappola.
La mia anima si sta allontanando dal suo centro (che se il corpo è il suo tempio, che gran casino sto facendo…).
Vorrei vedere esattamente la sua energia tornarmi indietro,
Perché é mia.

C’è solo un problema, da sola non ce la faccio, e combatto costantemente, ogni giorno, con la parte di me che mi dice che non voglio.
Chiudo gli occhi ora, non so dove sto andando, non vedo il traguardo, non so cosa sto facendo…

Mi affido, mi lascio trasportare da questa corrente, lascio echeggiare la parola “aiuto” che ho solo sussurrato, nello spazio che divide la mia mano da quelle che mi sono state tese, che di rimando mi arriva amore, che presto spero sarò in grado di accogliere.

La sensazione più forte che ho provato da qui a non ricordo quando, è quest’idea che sta prendendo lentamente piede dentro di me, grazie alle condivisioni delle altre ragazze, ovvero che non sono sola, che posso essere capita ed è per questo che aspettando di tornare a vedere la luce mi fermo qui, a MondoSole, che sta essendo per me un porto sicuro.

E.

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