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Ho vinto i miei demoni e ritrovato la fame di vita
La complicità dei siti Pro Ana e Pro Mia, che inneggiano all’anoressia e bulimia, i genitori troppo esigenti, poca fiducia in se stessa… Cosi Francesca ha creduto di poter fare a meno del cibo. ha imparato a vomitarlo. Ora che è guarita, anche lei è in rete. Dove canta. Per denunciare e prevenire
foto di Linda Marino – foto di Simona Ghizzoni
14 Maggio 2013
Metto due dita in bocca e tiro fuori il grido di dolore che non so esprimere a parole. Vomitare mi fa sentire leggera, mi dà la sensazione di liberarmi di un fardello: la mancanza di dialogo con i miei genitori. Troppo rigorosi ed esigenti. lo devo essere obbediente, educata, andare bene a scuola, essere sempre “la più brava”.
Questa ero io quando avevo 15 anni e mi sentivo ingabbiata in una scatola in cui pensare con la mia testa era impossibile. I primi segnali di insofferenza erano iniziati due anni prima. Era estate, ed ero riuscita a staccarmi dai miei genitori per fare una vacanza studio in Inghilterra. Per la prima volta, durante quel soggiorno, ho provato l’ebbrezza di controllare il mio corpo.
Potevo decidere lo se e quando mangiare. Apparentemente, era bellissimo; in realtà, proprio in quel momento, il mostro che mi avrebbe fagocitato per 18 anni stava per entrare in possesso della mia vita.
Tornai in Italia che ero bulimica: ingerivo il cibo e poi correvo in bagno a vomitarlo. La scena era sempre la stessa, come un film che vedi decine di volte. Il piacere che provavo era enorme mentre sputavo cibo dalla bocca e rabbia dall’anima.
A 19 anni ho deciso che il mio stato d’animo dovesse vedersi, e mi sono fatta fare un tatuaggio abbastanza eloquente, un sole nero, perché era cosi che mi sentivo io, dentro: avvolta dalle tenebre. In casa avevo accennato qualche volta, debolmente, al mio problema, ma i miei facevano fatica a capire di cosa si trattasse. Erano gli anni Novanta, si parlava ancora poco di anoressia e bulimia.
LA MALATTIA È COME UNA MADRE CHE TI CULLA, MA NON TI AMA
Lo scandire delle mie giornate passava attraverso questa malattia che mi abbracciava come una madre, ma non mi amava. Lo sguardo, spesso vitreo, assente, era sempre rivolto verso l’ago della bilancia. Avevo la sensazione che più lo controllavo più potevo farlo calare. Mi pesavo la mattina appena sveglia, prima di fare colazione, dopo avere mangiato, prima di vestirmi, dopo essermi vestita. Tutto poteva influenzare quell’asticina bianca che cadeva su un numero da cui dipendeva l’umore delle ore successive. Un giorno, per caso, scoprii un mondo nuovo in cui per la prima volta non ero più sola. Stavo navigando su Internet alla ricerca di una strada che mi portasse verso la guarigione e, paradossalmente, imboccai la direzione contraria: quella dell’autodistruzione. Ero entrata in uno dei tanti siti “pro Ana”.
Che difendono e idealizzano l’anoressia, sublimata come fosse una divinità, la dea “Ana”, appunto. Siti che mettono a disposizione di chi li frequenta consigli e trucchi su come dimagrire, su come lasciarsi andare a questa ossessione che prende il corpo e la mente, senza contrastarla, senza più conflitti. Ci sono caduta in pieno e, subito, sono entrata nello spirito: io e le altre ragazze eravamo in costante competizione. Se una di loro pesava 50 chili, io dovevo arrivare a 45. E cosi via, in una gara verso la morte.
SI ERA INNESCATA UNA FEROCE COMPETIZIONE
A un certo punto passai ai siti “pro Mia”, e la competizione si innesco anche li: dovevo essere brava a vomitare più delle altre. Se alcune lo facevano 10 volte al giorno, io dovevo riuscirci almeno 20 volte. In quel periodo mi innamorai.
Veramente, non era amore.
In quel ragazzo vidi un’ancora di salvezza, qualcuno che mi avrebbe portata via da una famiglia che non mi capiva. A 25 anni lo sposai, ma scappare non fu sufficiente, cosi come non bastò neanche la nascita di mia figlia. Certo, per due anni non vomitai, ma il rapporto con mio marito si logorò fino a naufragare, e solo oggi capisco quanto sia stato difficile per lui restarmi accanto: era lo spettatore di un macabro spettacolo, Un giorno disse basta. Come biasimarlo? Oggi ci unisce l’amore per nostra figlia, che ormai ha 11 anni. Cinque anni fa, dopo la morte di una mia amica affetta da disturbi alimentari, ho deciso che dovevo curarmi una volta per tutte, senza se senza ma. La fine della mia amica e mi aveva scosso dal torpore, era come se dall’aldilà mi esortasse:
«Francesca, non fare la mia fine, non lasciare tua figlia da sola. Contattai l’associazione MondoSole, un centro per i disturbi alimentari di cui avevo sentito parlare e, grazie al loro aiuto, e a quello del mio ex marito, ho imboccato la strada della guarigione. Ora sto bene, ho recuperato il rapporto con i miei genitori e ho perfino ritrovato la voce per cantare, che è sempre stata la mia grande passione. Il senso della mia vita oggi è nella musica e nel vedere mia figlia crescere. Due anni fa ho avuto l’onore di interpretare AnaMia, l’inno ufficiale di MondoSole, un brano contro l’anoressia e la bulimia. La canzone vuole essere uno strumento di prevenzione tramite la musica. Descrive la quotidianità di chi soffre di questi disturbi e la paura di amare, il rapporto con i genitori, quello morboso con la bilancia e con le calorie, la profonda solitudine di chi vive una condizione del genere. Ma il pezzo è a lieto fine, liberatorio, Come la storia di tante ragazze che ce l’hanno fatta. Come me. T
LE OSSESSIONI DI UN CORPO AVATAR. E UN MESSAGGIO TOP.
I siti “pro Ana”e “pro Mia”, frequentati in passato da Francesca (a lato, sopra, quando era una ragazzina paffutella) sono davvero cosi pericolosi? «Si, perché amplificano l’effetto inebriante di certe ossessioni spiega Matteo Mugnani, psicoterapeuta dell’associazione MondoSole., E creano una competizione, allontanando le ragazze dalla realtà: il rapporto non è più con il proprio corpo reale, ma con “corpo Avatar”, cioè quello che creano illusoriamente su Internet, in cui l’identità si perde nei numeri (calorie, peso, centimetri). Qual è il significato del progetto “AnaMia”, la canzone per MondoSole. -Riflettere su un problema sociale preoccupante e ribadire il valore della vita, conclusioni a cui è giunta anche l’agenzia brasiliana per modelle, Star Models La quale ha deciso di affrontare l’emergenza anoressia in passerella firmando una campagna che sta facendo il giro del mondo. Il claim Tu non sei un bozzetto. Di’ no all’anoressia accompagna diverse doppie immagini, in cui le modelle vere (vedi lato), con un tocco a di Photoshop appaiono scheletriche come nel bozzetto stilizzato. Scioccante. LM.
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