Home Disturbi Alimentari DCA: …”Quanto mi sono odiata!”… @chiarasolems

DCA: …”Quanto mi sono odiata!”… @chiarasolems

by ChiaraSole Ciavatta

Quanto ho odiato la persona raffigurata nella foto, o meglio,  quanto mi sono STRA-ODIATA.

ODIAVO TUTTO TUTTO DI ME, MA PROPRIO TUTTO, ANCHE IL MIO NOME: ricordo che mi trovavo a Chianciano dai miei cugini, avevo sei anni.

Era mattino presto e ho telefonato  a mia madre, urlavo disperata, piangevo. Volevo, dovevo cambiare nome.

Non volevo chiamarmi Chiara, odiavo quel nome non lo sentivo come mio e non lo volevo. Lo avvertivo come un nome da piccola, da bambina, anzi da bimba. NO, NON ANDAVA BENE PER MILIONI DI MOTIVI E poi per… per.. NO NO NO E NO!

Avevo tutta una lista scritta nel mio diario segreto di nomi piu’ adatti a me, una lista vera e propria: nomi piu’ maschili, che esprimevano piu’ forza, “nomi da grande”!

Mia mamma doveva assolutamente andare all’anagrafe e cambiare il mio nome prima possibile. Gli urli del mio pianto probabilmente si saranno sentiti da Chianciano T. fino a Rimini..

(Da qualche parte quella bimba, che ero io, il termine anagrafe e a cosa servisse l’avrà imparato… che dite?!?! Inoltre, ovviamente, volevo cambiare nome. L’ho ricordo vividamente e c’erano tanti importanti e dolorosi motivi dietro che ho poi successivamente rielaborato).

Da Tanti anni amo il mio nome. Lo apprezzo e mi piace tanto. Nella mia zona non abbiamo l’usanza di festeggiare l’onomastico. Comunque sia, per me, quello è un giorno di festa, intendo intimamente: tra me e me.

Amando tanto il sud e conoscendo tante persone di giù ho la fortuna di ricevere gli auguri e ne sento anche il calore… è come se fossimo allineati.

E’ una bella sensazione, perché un conto è quando non ti piace il tuo nome, un altro conto è  QUANDO ODI IL TUO NOME: OGNI VOLTA CHE QUALCUNO LO PRONUNCIA, TI CHIAMA, ECC… TI RIMBOMBA NELLA TESTA, FA ECO E TI AUTODICI: “CAVOLI, SONO IO… E, GIA’ DAL NOME, PARTIAMO PROPRIO BENE E CIOE’ MALISSSSSIMO!!!!”


…continuando a parlare di ciò che ho costantemente provato per me stessa…..:

Disprezzo, schifo, sentivo di non valere nulla… beh, per forza non mi sentivo mai abbastanza, MA PROPRIO MAIIII!

Sentivo di avere la colpa di tutto, PER TUTTO E TUTTI.

Nella mia testa abitava una sorta di GIUDICE, lo immagino tutto ben vestito, agghindato, dall’aspetto rude e spigoloso, maleodorante, ma ben attrezzato. Decisamente un signore non piacevole, altezzoso e di quelli laureati in ‘TUTTOLOGIA’.

Possedeva addirittura un martelletto e, ogni due per tre, riteneva giusto, evidentemente, SMARTELLARMI CON FORZA E, A PIÙ RIPRESE, IN MODO PERPETUO, LA TESTA, per comunicare a me e, “sicuramente a tutto l’universo”, che IO ero COLPEVOLE!

Non vi era possibilità alcuna di controbattere, dialogare, confrontarsi democraticamente, EH NO!

QUEL GIUDICE, MOLTO MOLTO SEVERO (E OSEREI DIRE a posteriori, CON VISIONI E IDEE SULLA VITA BIZZARRE), DECIDEVA PUNTO. E DECIDEVA IN TUTTE LE SFERE DELLA VITA.

EBBENE SI, VIVEVO IN UNA DITTATURA ASSOLUTA e gli organi burocratici avevano sede nella mia testa, ma si insinuavano anche nel mio cuore. Io non avevo governo SU nulla!

Questa condizione dittatoriale, totalmente senza luce, si nutriva di me e traeva la sua forza da me: non appena ero un po’ più fragile/indifesa, immediatamente il dittatore/giudice diventava più potente sfruttando il momento crisi volgendolo a suo vantaggio.

Ad esempio a quel Signor Giudice, che mi faceva tanta tanta paura (dovevi obbedire, non c’era altro modo), gli bastava un gesto, poche parole ed era LEGGE:

Stock, colpo di martelletto: si diChiara Chiara colpevole di aver mangiato!
Stock, colpo di martelletto: si diChiara Chiara colpevole di aver sorriso!
Stock, colpo di martelletto: si diChiara Chiara colpevole perché Lui/lei/l’altro è triste!
Stock, colpo di martelletto: si diChiara Chiara colpevole di aver “DESIDERATO” (lo barro perché è come se lo dicessi sottovoce dato che anche questo è un altro super immenso capitolo)!
Stock, colpo di martelletto: si diChiara Chiara colpevole perché Lui/lei/l’altro NON è triste!
Stock, colpo di martelletto: si diChiara Chiara colpevole di di di di di di di di di di di TANTISSSSIMI “DI” fino al…

Stock, colpo di martelletto: si diChiara Chiara colpevole di ESISTERE!

QUANTI CA.ZO DI “COLPE” SENSI DI COLPA!!!
ERANO SEMPRE IL SOUNDTRACK DELLE MIE “25″ ORE.
UN EFFETTIVO MARTELLO (martelletto) PNEUMATICO MENTALE!

Sentivo un costante senso di abbandono e rifiuto (inevitabile), sentimenti che sono diventati tatuaggi nel cuore, a causa di un trascorso traumatico doloroso: ferite rimarginate e non più sanguinanti da tempo.

Mi avvertivo infinitamente enorme/grassa/deforme, tanto quanto era forte il sentirmi completamente invisibile agli occhi degli altri e soprattutto agli occhi di chi contava per me.

Sentivo una lacerante SOLITUDINE, così profonda, da non saper neanche descrivere:

Mi sentivo SOLA anche e soprattutto in mezzo agli altri, una sensazione GELIDA, profonda:

UNA SOFFERENZA PAUROSA,UN DOLORE CHE FACEVA E FA PROPRIO PAURA!

Di quel tipo di SOLITUDINE”e metto il termine tra virgolette perché improprio dato che non spiega appieno il sentire infinito, che paralizza anche solo la lontana idea di poter stare un giorno bene.
Si tratta di qualcosa di totalizzante, troppo grande, FREDDISSIMO!

E CHE NESSUNO SI AZZARDI AD ARRIVARE E DIRE COSE DEL TIPO:
“DAI, che tu sei una guerriera”,
“ forza, che ce la fai”,
“dai, che poi passa”,
“su, dai, è successo a tante persone……”,
“una come te, ce la farà sicuramente”.

Il punto è che sono tutte sofferenze talmente IMMENSE che hanno bisogno di un loro spazio affinché il singolo individuo riesca lui stesso a realizzare cosa effettivamente sta accadendo. È importante lasciare questo spazio libero, perché ha una valenza tutta emotiva e non razionale. In quel processo di realizzazione della sofferenza, il piano razionale urta moltissimo. È come quando, ad esempio, tu sei molto di nervoso, pieno di ansia, arrabbiato e, le persone non fanno altro che dirti di stare calmo, tranquillo, sereno. Quanto è fastidioso?!?! Non abbiamo addosso degli interruttori con scritto ON/OFF. Ci serve appunto tempo per rielaborare senza forzature ne fretta. Vale per ognuno di noi!
Proviamo a pensarci insieme: ti arriva “un qualche cosa” che ti scuote tanto e ti altera nel profondo, un qualcosa che per te è grande, forte, butto, triste. Chi non vive o ha vissuto eventi di questa entità?!?!
E, prima ancora di realizzare tu stesso cosa è successo o sta accadendo, qualcuno vicino a te comincia a dirti:
“dai fai un sorriso, tanto tutto passerà”,
“è triste, ma c’è chi sta peggio”,
“i veri problemi sono altri”, “e allora  cosa dovrei fare con tutto quello che gli è successo nella vita!?!? Dai, tirati su!”,
“tu hai sempre dimostrato carattere sin da piccolissimo, ce la farai con facilità/anche questa volta! NE SONO CERTO!”
È molto difficile, ma è sempre utile fare lo sforzo di indossare i panni degli altri anche perché io, tu, lei, lui… tutti siamo gli altri per GLI ALTRI.

Inoltre chi ci è accanto e ci vuole bene si sente impotente e, in automatico, può accadere che inconsciamente si “attacchi” alla razionalità. Di conseguenza ci parla su un piano razionale, cos’altro può fare?!?! Da lì è un attimo che razionalità ed emotività non si comprendano, perché proprio non c’è dialogo NON PUÒ ESSERCI, SONO SU PIANI TOTALMENTE DIFFERENTI!

Sentivo che nessuno avrebbe mai potuto capire.
Avvertivo un male così infinito tanto da “non sentirlo più” per quanto io fossi logorata dallo stesso.

Inconsciamente e, senza rendermene conto, mi sono rifugiata in una prigione, in una malattia: una convivenza indissolubile sin da piccolissima fino a circa il 2001.

Infinite forme di autodistruzione per proteggermi da cause, traumi, dolori, dinamiche, ecc.

Mi guardavo e vedevo merda.

Putrida dentro e fuori. Le inconsce autopunizioni non bastavano mai.

Al fondo non c’è mai fine!

Chiedendo aiuto… con lavoro e fatica, lavoro e fatica, lavoro e fatica sono guarita… ero convintissima di essere marcia dentro e che guarire sarebbe stato davvero impossibile (me lo avevano detto a chiare lettere che ero un caso ecc ecc).

Guardo questa vecchia foto e… e… che tenerezza, quanta tenerezza!

Quanto dolore, indipendentemente dal peso, da qualunque peso: TANTO LUI, IL DOLORE, PESAVA SEMPRE E COMUNQUE TANTISSIMO ED ERA ENORME!
ESATTAMENTE COME MI SENTIVO E VEDEVO IO: ENORME, DEFORME E PESANTISSIMA, MA, COMUNQUE INVISIBILE PER TUTTI!

Questa è una delle pochissime che ho degli anni della malattia. La fototessera per la patente.

Guardo il mio sguardo di allora… Spento, occhi vitrei, svuotata dalla vita e riempita dalla sofferenza…
nell’osservarmi avverto amorevole tenerezza per quella me così disperata, così affannata, così impegnata ad obbedire al giudice.. ma anche impegnata nell’andarci contro cercando la cura giusta per la mia natura. Che tenerezza!

Ero contenta per la patente e infatti, per la foto, ho cercato di “incarinirmi” ;-).

Nel tempo ho lavorato duramente su tantissime cose tra cui la coazione a ripetere.
Sulla memoria impermeabile provocata dalla cristallizzazione della crescita dovuta ai sintomi alimentari.

Posso affermare che ricordo vividamente ogni singola sensazione. Ci tengo a precisare che mi riferisco alle sensazioni/emozioni: ciò che ho provato nella malattia!

Poi, di alcune cose, parlo di fatti, non di emozioni, non ne ho una memoria vivida proprio a causa dei potenti sintomi dei DCA: l’anestesia è talmente forte che può “portar via dei pezzi”, per dirla in modo brutale, ma chiaro.

Tutto ciò fa parte della patologia stessa.
La cosa fondamentale è tenersi stretta la memoria di cosa si è vissuto, di cosa abbiamo sentito!

Il Maestro Primo Levi afferma che
“Tutti coloro che dimenticano il loro passato sono condannati a riviverlo.”

Amici non perdete la speranza, continuate il vostro percorso di cura/crescita, continuate a cercare la vostra strada terapeutica per arrivare ad una effettiva libertà. Tutto è possibile, nonostante i vari nonostante.

ChiaraSole Ciavatta


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