Home MondoSoleESPERIENZA TESTIMONIANZA RIFLESSIONE Ansia e preoccupazione. Testimonianza Riflessione

Ansia e preoccupazione. Testimonianza Riflessione

by ChiaraSole Ciavatta

Un tempo ero una persona fatta di ANSIA. Mi preoccupavo per tutto.

Quell’ansia mi serviva. Quella preoccupazione mi serviva.

Riempivano e nascondevano, ma nel contempo mi facevano vivere male, anzi malissimo.

Ad esempio se avevo un appuntamento di qualunque tipo, vivevo tutto il tempo dell’attesa, una settimana – 10 gg – o anche di piu’, con un gomitolo in gola, mal di stomaco, pianti, notti insonni. Un vero pensiero fisso e tanta paura.

Tanto è vero che a causa dell’immenso timore spesso non mi presentavo: EVITAMENTO PURO!

Non riuscivo mai a godermi nulla!

Oppure se una persona amata andava dal medico e si accennava alla possibilità di qualche tipo di male io non aspettavo la diagnosi, NOOOOO, ero subitissimo preoccupata. Soffrivo, mi sentivo morire dentro. Tremavo. Non c’era modo di ragionare. Il mio sentire non cambiava sia che io fossi in compagnia, sia che mi trovassi da sola.

Di esempi ne potrei fare tanti perchè quella costante compagnia, la “cara” ansia, era sempre lì. Sempre pronta ad attivarsi con il giusto vigore richiesto dal momento. Tutto era immediato, ovviamente tutto e subito.

Esisteva la situazione, o l’idea della situazione, e immediatamente una serie di sensazioni emotive destabilizzanti, paralizzanti, oserei denominarle STRUGGENTI, mi SOVRASTAVANO.

Tutto questo sia per cose belle, sia per cose brutte.

Era proprio il concetto di avere degli “appuntamenti” concreti con qualcosa che avrebbe fatto nascere delle emozioni che faceva ESPLODERE in me ANSIA e poi di conseguenza tanta PREOCCUPAZIONE.

Come sappiamo per chi soffre di disturbi alimentari gli imprevisti sono vissuti come vere e proprie catastrofi e lo era anche per me, ovviamente. Ma ora non mi sto riferendo ad avvenimenti inattesi, bensì all’esatto opposto: a cose del vivere quotidiano.

Quel vivere che in un modo o nell’altro sancisce, inconsciamente, quanto “vado bene”. Quanto si è degni, quanto si è abbastanza, quanto valore si ha.

Sancisce anche in cosa ci si riconosce. Solitamente chi soffre si riconosce più facilmente in uno “specchio” metaforico che riflette sofferenza e dunque questo atteggiamento emotivo spontaneo non è affatto bizzarro.

Vivevo così. Due parole d’ordine: ANSIA E PREOCCUPAZIONE.

Ho compreso a cosa mi servisse tutta quell’ansia e tutta quella continua preoccupazione. Erano muri tra me e me e successivamente tra me e il resto del mondo.

Mi riempivo inconsciamente di quel picco aggressivo di sentire e non esisteva più nulla, tutto raso al suolo. Anche questo era un modo per riconoscermi nello specchio della sofferenza.

Inoltre non esisteva mai il momento presente. Non vivevo qui e ora, vivevo sempre in una realtà spostata: una sorta di macchina del tempo umana nella quale c’era spazio per qualunque tipo di fantasia fatta di montagne russe emotive.

Vivere così è come correre, correre, correre… sempre! È davvero stancante e dopo un po’ i nervi non ne possono più.

Quanti pianti, urla, pugni e quanta disperazione.

Oltre ad aver compreso le cause di questo mio bisogno di tenermi stretta l’ansia, ho inizialmente fatto mie delle frasi, o meglio, concetti che mi hanno sostenuta anche perché sentivo la necessità di aggrapparmi a qualcosa, vivevo troppo male. Concetti che erano anche il frutto di tutto il lavoro terapeutico, ovviamente. Anche perché baratri di questo tipo non si possono risolvere con qualche frasetta o compitino, è necessario un lavoro introspettivo serio e che vada in profondità.

Una di queste che porto nel cuore è, concettualmente, che “tu puoi preoccuparti moltissimo oppure per niente, tanto poi il risultato non cambierà… tanto vale provare a non dannarsi di preoccupazione”. (Anche perchè aleggia sempre l’idea illusoria di poter controllare ed è bene rendersi sempre piu’ conto che il controllo NON ESISTE).

Lavorare a fondo sulla mia ansia è stato necessario, rasserenante e mi ha portato a comprendere il suo valore quando ero malata, nel senso che vivo tutto diversamente da anni; NON SOLO, è stato anche formativo e di aiuto per ciò che ho vissuto successivamente negli anni. Intendo dire che tutto il lavoro che decidiamo di fare su noi stessi non è finalizzato “solo” a risolvere QUEL problema in QUEL dato momento, ma si tratta di un immenso PATRIMONIO che ci accompagnerà per tutta la vita e ci ri-tornerà utile nei momenti più disparati; momenti nei quali saremo grati del lavoro fatto benché molto doloroso e ci renderemo conto che il tempo della malattia non è stato buttato, bensì investito.

ChiaraSole Ciavatta

 

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