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Anoressia Testimonianza

by ChiaraSole Ciavatta

Sarebbe impossibile indicare un momento preciso in cui ho iniziato a soffrire di anoressia.

Sono nata in un periodo difficile per la mia famiglia, ho sempre sentito che c’era qualcosa nel clima attorno a me che non andava bene e senza rendermene conto mi sono prefissata l’obiettivo di cercare di dare meno disturbo possibile. Mi sentivo come in debito nei confronti dei miei genitori, volevo che fossero orgogliosi di me, soprattutto mia madre che avevo idealizzato come modello di perfezione.

Ho sempre fatto di tutto per essere la figlia modello che tanto avevano atteso e sono diventata la numero uno a scuola, nella musica e nelle attività sportive: tutto per sentirmi la migliore, ma mai per essere me stessa.

Da che ricordo mi sono sempre sentita sola, di troppo e inopportuna in ogni situazione. Ero una bambina irrequieta, non riuscivo a dormire la notte, avevo tanti tic e rituali.

Ho iniziato a essere vittima di bullismo fin dall’asilo e l’unica persona che mi faceva sentire al sicuro era mia mamma. Quando lei era assente avevo forti crisi di pianto.

A 11 anni è arrivato quello che ricordo di aver vissuto come la più grande disgrazia della mia vita: il ciclo mestruale. Stavo crescendo, ma non mi sentivo ancora pronta. All’aumentare delle forme crescevano anche le preoccupazioni di mia madre, e di conseguenza mie, sul rischio di attrarre uomini e poter essere in qualche modo in pericolo.

Alle superiori ho iniziato a chiudermi sempre di più e a essere preda di una crescente depressione.

Ho cominciato a concentrare tutte le mie attenzioni sul corpo e sul cibo. Speravo che, dimagrendo e cancellando il corpo, con esso sarebbero venuti meno anche i suoi desideri.

Ho iniziato a tagliarmi (autolesionismo), perché vedere il sangue, qualcosa uscire dal mio corpo, mi faceva sentire più leggera, e inoltre mi permetteva di scaricare molta della rabbia che avevo contro me stessa, senza rendermi conto dei rischi che correvo.

Ero diventata un’assidua frequentatrice dei blog pro-ana, cioè pro-anoressia, in cui trovavo consigli per digiunare. Restavo ore davanti allo schermo, aggiungendo alla malattia ormai conclamata anche una dipendenza da internet, che creava crisi d’astinenza quando non riuscivo a connettermi al mondo virtuale.

Avevo 14 anni e mi sentivo forte, euforica, onnipotente perché stavo perdendo peso a vista d’occhio. Molti ricordano il periodo di restrizione alimentare come uno dei più «belli» della malattia; io, escludendo il primo momento di euforia, lo ricordo come un incubo.

Passavo ogni ora sulla bilancia, avevo crisi di nervi con chiunque si mettesse tra me e la malattia. Giorno dopo giorno mi sono ritrovata dentro una prigione che mi ha portata a pesare 26 chili a 15 anni e a mangiare quattro gamberetti al giorno.

Continuavo a vedermi enorme. Stavo in casa perché tremavo continuamente dal freddo, attaccata al termosifone con lo sguardo privo di vita. Non riuscivo a fare le scale, spesso dovevano prendermi in braccio perché non avevo più muscoli nelle gambe. Dovevo andare da una sarta a farmi rimpicciolire tutti i vestiti, perché quelli da adulti erano enormi e quelli dei bambini mi stavano bene, ma non in lunghezza.

La mia famiglia era distrutta e io non ne potevo più di stare così male. Sentivo dire che ero a rischio di vita, ma non me ne rendevo conto.

Dopo mesi di digiuno e di entrate e uscite dagli ospedali con il peso di una bambina di otto anni il medico mi diede l’aut aut: «o ti fai ricoverare o ti facciamo ricoverare noi». Mi rifiutavo di seguire quella strada, non la vedevo come una soluzione definitiva al mio infinito dolore. Io volevo capire, comprendere perché da anni mi odiavo così tanto.

È stato allora che mi sono messa a cercare disperatamente su internet e ho trovato un centro specializzato in disturbi alimentari, MondoSole di Rimini, quello che poi mi ha salvato la vita.

Ero spaventata all’idea di staccarmi da casa e dalla mia famiglia, e, soprattutto da mia mamma. Il centro era lontano dalla mia città ed ero terrorizzata all’idea di andare ad abitare da sola a 15 anni. Ma ho iniziato lo stesso il percorso di cura. Mi sono affidata agli specialisti e oggi sono qui, a raccontare la mia storia di anoressia e di tutti gli altri sintomi che ho avuto.

Ora ho capito che, immersa totalmente nella mia malattia, non avevo idea di cosa in realtà fosse il mostro che avevo dentro. Ho verificato sulla mia pelle come l’anoressia non sia solo una persona sottopeso. Io ero anoressica anche quando non c’era ancora un rischio medico. Restringevo la mia vita, le relazioni sociali, non mi concedevo niente di femminile. La mia vita doveva essere senza sapore. Inoltre ho capito che la sofferenza non se ne va cercando di perdere peso a tutti i costi, ma chiedendo aiuto e lavorandoci.

Ora e ogni giorno accolgo gli aspetti più fragili del mio carattere per vivere sempre meglio questa vita, che ho capito essere meravigliosa.

Non si smette mai di imparare e di crescere, ma oggi riesco a dare un nome  che mi ha attanagliato per anni senza più scaraventarle contro me stessa e il mio corpo, senza anestesie.

Ho un rapporto sano con i miei genitori che adoro, e che non finirò mai di ringraziare per come mi hanno aiutata.

A te che stai leggendo… Se stai vivendo come presente quello che per me è il passato, sappi che non sei sola/o. Se troverai il coraggio di chiedere aiuto, troverai una mano pronta ad aiutarti. Lo so, è difficile. Ma io ce l’ho fatta e non ho nulla più di te.

Giulia

 


Intervista a Giulia Troncon su Ok Salute Luglio/Agosto 2017

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Intervista a Giulia (MondoSole) su Vice.

Com’è l’estate quanto hai un disturbo alimentare. Clicca sull’immagine di seguito per ingrandirla:

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