Anoressia cura: I chili dell’anima
Anoressia cura: i chili dell’anima. Leggo sempre gli interventi sugli spazi di Chiara e non posso non mettere a ripetizione la colonna sonora che mi accompagnava ogni santissimo minuto della mia giornata che passavo davanti al mio di blog.
Nella disperazione più totale e nella solitudine più grande cercavo non so neanche io bene cosa, vagando tra il mio ed altri blog…
Forse cercavo qualcuno che capisse ciò che mi stava succedendo, cercavo qualcuno che parlasse la mia stessa lingua, quasi un codice segreto che conoscevo solo io. Nessun’altro. Neanche le persone che mi volevano più bene e mi erano più vicine… Ma neanche il blog bastava, il mio dolore non cessava e tra le varie persone che conoscevo virtualmente ne trovavo solo altre che soffrivano come me; e con il tempo, insieme, si andava sempre più giù. Era evidente che non c’entrava nulla con una vera cura per l”anoressia.
Mi chiamo Elisa e non so dire con precisione quando cominciò. Già da bambina, anche se non portavo con me un sintomo preciso, non ero di certo felice: mi sentivo sempre un peso per tutti, avevo l’impressione che tutti ce l’avessero con me, instauravo sempre amicizie morbose che crollavano subito quando l’altra si stancava e via dicendo.
C’era qualcosa che strideva e che non funzionava, io lo sentivo bene ma lo potei sentire in maniera netta solo quando conobbi l’anoressia.
Era l’estate dei miei 17 anni, niente di particolare in quel periodo, solo la fine di una storia d’amore durata qualche mese ma che per me si rivelò la goccia che fece traboccare un vaso già bello pieno e che prima o poi doveva esplodere.
Da lì la fatidica dieta per perdere qualche chilo (in fondo ero normopeso!) ma che si rivelò per me l’inizio di un inferno fatto di restrizioni alimentari fortissime (arrivando a mangiare solo due omogeneizzati al giorno), ore e ore in palestra dopo la scuola, palestra in casa e ore e ore a scuola tra i banchi passate nel calcolo delle varie calorie ingerite e bruciate.
Inizialmente ricordo un grande senso di onnipotenza; ancora adesso non riesco a capacitarmene di come riuscissi a fare tutte le cose che facevo con quel nulla che ingerivo ma dentro avevo un mostro che mi alimentava.
La mia vita per un bel periodo fu questo: un susseguirsi di riti, schemi rigidissimi e digiuni che in realtà erano solo una profondissima sofferenza che dovevo esternare in qualche modo, fare vedere a chi mi era intorno, alla mia famiglia che qualcosa non funzionava e che qualcosa mi faceva stare profondamente male; il modo che io incontrai e che conobbi era tramite il cibo.
Ci volle del tempo per decidere di voler realmente guarire perché non sapevo cosa mi aspettava, avrei dovuto affidarmi ad altri quando mi fidavo solo di me stessa e di nessun altro, voleva dire abbandonare tutto ciò che quotidianamente mi dava un’illusoria sicurezza, avrebbe significato VIVERE!
Inoltre lasciai correre un po’ di tempo prima di iniziare il percorso di guarigione perché non mi ritenevo abbastanza sottopeso per iniziare un percorso di cura così “serio”, “non ero abbastanza malata” per quello che pensavo.
Ma parliamoci chiaro, non è una questione di chili, non è possibile misurare in chili una tale sofferenza! Quando decisi di volere realmente guarire ci misi da subito tutta me stessa… non è facile e non è immediato, ci vuole tempo e tanto coraggio, è doloroso a tratti, ma si ricomincia a vivere e a riscoprire la vita sotto nuovi occhi.
Il cibo è la parte più semplice “da sistemare” perché è solo il sintomo evidente, è il resto che chiede più forza ma TUTTO E’ POSSIBILE, e soprattutto non esiste NESSUNO che non possa guarire e stare bene!
Oggi mi ritengo fortunata di aver vissuto quell’inferno perché sono sicurissima che altrimenti non sarei la persona che sono ora… e oggi mi piaccio e oggi adoro la vita con le sue gioie e le sue difficoltà che si possono incontrare in ogni giorno ma è bello viverla nei momenti belli e in quelli meno piacevoli.
E credetemi… tutta quella fatica del percorso di cura? Ne vale assolutamente la pena per quello che si vive dopo e per come lo si vive!!!
Elisa D.
Il confronto, virtuale e/o nella realtà concreta, tra persone malate di disturbi alimentari, può rivelarsi estremamente pericoloso, autodistruttivo, distruttivo e negativo, se non supervisionato da operatori esterni specializzati. E’ molto frequente che chi soffre di questo male cerchi risposte da altre persone che stanno male allo stesso modo, perché parlano la stessa lingua e in qualche modo ci si sente compresi, lo vedo frequentemente anche sui vari social. Ma non bisogna dimenticare che il rischio di danneggiare e farsi danneggiare è altissimo. Invece se il rapporto tra chi sta male è supervisionato, può rivelarsi uno strumento incredibilmente utile e positivo. ChiaraSole Ciavatta