«L’anoressia cancella il resto della tua vita ma è una malattia da cui si può guarire»
L’educatrice in un asilo nido: <<Mi stavo autodistruggendo così ho lasciato Milano per Rimini Credevo di dover meritare l’amore della mia famiglia perciò volevo primeggiare in tutto>>
RIMINI / VANESSA ZAGAGLIA 15 Marzo 2024
Rimini. «Se non fai attività sportiva temi di ingrassare. Se mangi male è lo stesso. Ma dall’anoressia si può guarire». Non fa trapelare il minimo dubbio, Silvia Vitariello, quando parla della malattia con cui ha convissuto per tanto tempo. Nata e cresciuta a Milano, dal 2015 lavora a Rimini come educatrice in un nido comunale. Nella città di Fellini, la 49enne ci era approdata due anni prima per affrontare la sua più grande battaglia: quella contro i disturbi del comportamento alimentare. «Ho capito che dovevo chiedere aiuto, e ne sono uscita – spiega oggi la donna. Finalmente, sento di star vivendo davvero».
Vitariello, come ci si accorge di soffrire di anoressia?
«I sintomi effettivi sono esplosi in età adulta. Con l’anoressia, però, ci convivevo da una vita intera. II cibo, per me, ha sempre avuto una funzione emotiva. Esercitavo un controllo del peso a spot. Facevo diete su diete, mi concedevo pasti liberi soltanto dopo essermi pesata. Ero una persona inibita, “castrata”. Che non riusciva a vivere con serenità i piaceri. E le mie passioni, puntualmente, diventavano un dovere a cui non potevo sottrarmi».
Si spieghi meglio…
«Se studiavo, dovevo ottenere il massimo dei voti. Se facevo sport non saltavo un allenamento. Misuravo il mio successo in termini di risultati. In tutto quello che facevo dovevo raggiungere livelli alti, sennò mi si rovinava la giornata. E da fuori, ovviamente, nessuno notava nulla».
Che cosa, nella sua esperienza, ha causato il disturbo?
«In parte hanno contribuito le dinamiche familiari. Vengo da una famiglia in cui ha sempre regnato l’amore. Ciò nonostante, nella mente mi ero creata una realtà che non corrispondeva affatto a quella concreta. L’idea di dovermi, in qualche modo, “meritare l’amore”. In più, all’età di 11 anni, ho subito abusi da parte di uno sconosciuto in metro. E di cui compresi il vero valore solo in seguito».
Quando arrivarono, invece, i sintomi veri e propri?
«Dopo la scomparsa di mio padre, morto nel 2009. All’epoca, complice il sintomo ancora latente, vissi quell’esperienza con distacco. Senza rendermi conto che lui non c’era più. Qualche anno dopo, invece, si è manifestato in pieno il desiderio di scomparire. Pensavo il mio corpo, ma in realtà era il dolore che volevo far scomparire. Sono arrivata a pesare 42 chili. Ma il peso, in sè, non è importante, perché si tratta di una malattia invisibile e rischiavo la vita ogni giorno. Era la sofferenza la cosa importante».
Come descriverebbe l’anoressia a chi non la conosce?
«Come un dittatore interno. Cancella il resto della tua vita, controlla il tuo umore e i tuoi pensieri. Ti fa vivere tutte le esperienze con distacco, proiettandoti in una realtà che non esiste».
Quando ha deciso di affidarsi all’associazione riminese MondoSole?
«Dopo che le mie amiche di Milano, vedendo che mi stavo autodistruggendo, mi hanno imposto un “aut aut”. Ho capito che quella “non vita” era diventata insostenibile, che dovevo uscirne. Per riuscirci ho avuto bisogno di allontanarmi dalla mia famiglia, dal mio lavoro dell’epoca. Digitando su internet la parola “DCA” e la parola “mare” (che Vitariello ama, ndr) è comparsa MondoSole».
Da li in avanti, cosa è cambiato?
«Ho accettato l’aiuto dell’associazione. Come prima cosa ci siamo occupati del sintomo, essendo potenzialmente mortale. Poi abbiamo iniziato a lavorare sulle cause, sia con terapie di gruppo che con consulenze psicologiche. Ho iniziato ad affrontare tutte le sfere della vita e a risolvere molte questioni in sospeso. Qualche anno dopo ho ripreso a lavorare. È ormai diverso tempo che non ho sintomi, ma parlare di tempistiche sarebbe scorretto. Posso dire di esserne uscita. È un percorso graduale e lento».
Che consiglio si sente di dare a chi, come lei, ha conosciuto l’anoressia?
«Di farsi aiutare. Non si può affrontare tutto da soli, anche se la malattia te lo fa credere. È grazie a MondoSole se mi sono riaperta al mondo. Il centro punta a riconnetterti con l’esterno, ti spinge a vivere. E io, da anni, sento di essere tornata a farlo».
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